Quando i fenomeni estremi si fanno sempre più intensi e ravvicinati, aumenta il rischio di una “tempesta perfetta”
di Bruno Perazzolo
Emmanuel Macron ha vinto le presidenziali francesi dello scorso 24 aprile. Anche questa volta il rischio populista è stato esorcizzato, ma chi ha a cuore le sorti della democrazia e dei valori occidentali può stare tranquillo? La risposta è: “certamente no!”.
E’ vero, è un fatto, Macron ha vinto con il 58,54%, Marine Le Pen ha ottenuto il suo migliore risultato con il 41,46%, ma l’astensione non è mai stata così elevata.
Con le elezioni legislative del 12 e 19 giugno, i nodi del sistema politico ed elettorale francese potrebbero venire al pettine, perché al primo turno è previsto il primato dell’alleanza di sinistra NUPES con una percentuale intorno al 27-31% dei voti, seguiti dall’Ensemble di Macron con il 26-27%, dal Rassemblement National con il 20-23%, e solo in coda l’alleanza di centrodestra formata dai Repubblicani e dall’UDI intorno al 10%.
Ma va ricordato che il sistema elettorale francese non è proporzionale in quanto tende a favorire i candidati di centro; le attuali proiezioni prevedono che la maggioranza dei seggi andrà a Macron, consegnandogli un potere politico che qualcuno potrebbe pensare eccessivo. Ma c’è di peggio: le più recenti analisi del voto indicano che il Presidente governerebbe rappresentando da un lato l’establishment (il voto nelle grandi metropoli, in primis Parigi) e dall’altro gli over 65 pensionati: una perfetta miscela di vetusta “conservazione borghese” dello status quo. Condizione, questa, resa ancora più evidente, dalla netta preferenza dei giovani per Mélenchon e degli operai francesi e dei centri rurali periferici per Marine Le Pen.
Nel suo articolo, “Macron: rinascita della democrazia?”, Dario Nicoli illustra molto bene il profilo politico che dovrebbe assumere il fronte democratico per reagire il declino dei partiti che in esso si riconoscono senza ambiguità di sorta. Il “suo programma” mi pare soprattutto adatto ad un rinnovamento profondo che dovrebbe riguardare proprio quell’area politica che, molto genericamente, potrei definire di centrodestra cui Macron fa riferimento. Tuttavia il cammino da fare mi sembra ancora lunghissimo e irto di ostacoli derivanti, principalmente, dalla “base sociale” cui Macron ha scelto di riservare le sue attenzioni e, cosa ancora più preoccupante, dall’ideologia liberale cui il Presidente francese sembra riconoscersi. Nel 2017 l’elettorato giovanile aveva espresso un notevole sostegno a Macron che aveva spostato gran parte del voto degli under 24 dal Front National al suo partito: “La République en marche”. Al di là dei buoni propositi, il Presidente francese ha poi dato vita ad una forza politica fortemente personalizzata e, soprattutto, sensibile agli interessi e allo stile di vita delle nuove élite, dissipando il credito di fiducia che aveva ottenuto tra le forze più vive e popolari del paese. E’ quindi possibile che anche questa volta la tempesta populista passi senza troppe conseguenze negative; quel che è certo è che la fortuna non può durare all’infinito e che la difesa dei valori autenticamente democratici richiede ben altro coraggio, coerenza e determinazione. In breve, richiede una leadership innovativa capace di guardare in faccia la crisi fondando su questa consapevolezza un progetto politico che sappia parlare in positivo (non limitandosi ad agitare il rischio della vittoria del nemico) alle menti e ai cuori dei cittadini.