di Daniela Mario
Io sono fatto così, Io la penso così; questo è il Mio carattere…
E il Tu? Gli altri? Che ruolo hanno nello sviluppo del nostro Io?
Purtroppo, per tutti quelli che credono di “essersi fatti da soli” il ruolo degli altri è fondamentale, sostanziale, costitutivo, e non è più un’opinione.
Non solo perché l’individuo è parte di quella collettività senza la quale non potrebbe esserci, né in potenza, né in atto, ma perché, dopo la scoperta dei neuroni specchio non abbiamo più dubbi sulla natura intersoggettiva del nostro sé, sulla natura squisitamente sociale dell’essere umano, già individuata da filosofi e sociologi anni addietro. Cosa ci restituisce, in sintesi, la scoperta dei neuroni specchio ad opera del team di Parma guidato da G. Rizzolatti (primi anni’90)?
È stato ormai ampiamente dimostrato, a livello internazionale, che siamo dotati di una speciale classe di neuroni che si attivano sia quando compiamo un’azione diretta ad uno scopo (quindi non un movimento qualsiasi) sia quando osserviamo la stessa azione compiuta da altri. Si tratta di una scoperta strepitosa che sta si sta riversando in ogni ambito dello scibile: se quando osserviamo un’azione o situ-azione (ma anche quando ascoltiamo, leggiamo, pensiamo…) in noi si attiva lo stesso circuito neurale che consente all’altro di compiere quella particolare azione, significa che noi stiamo condividendo con l’altro lo stesso circuito, come se simulassimo internamente quello che l’altro sta facendo o dicendo (anche se si tratta del protagonista di un testo).
In altre parole, rispecchiamo o risuoniamo, involontariamente e automaticamente (perché il meccanismo opera a livello neurale) alle parole e comportamenti dell’altro, in misura della somiglianza con il nostro “vocabolario di atti motori” (Rizzolatti, 2006), cioè con gli schemi sensomotori che possediamo. Ed è grazie a questo meccanismo (che condividiamo con altri animali) che apprendiamo e conosciamo il mondo in virtù della costante interazione con gli altri, le cose e l’ambiente, che diventano non l’oggetto esterno o “l’altro da sé”, ma consustanziali alla nostra identità.
La nostra mente si sviluppa pertanto dalle primissime relazioni con la figura di accudimento e si alimenta di continui rispecchiamenti con chi condivide il nostro spazio. Vittorio Gallese (uno degli scopritori dei mirror) nei suoi molteplici articoli, ha più volte ribadito che non è possibile concepire se stessi senza radicare il nostro sé nella relazione con l’altro. Cioè, noi prendiamo forma e ci arricchiamo come soggetti grazie a una costante interazione col mondo sociale, con i modelli che osserviamo, i rispecchiamenti di cui usufruiamo e che a nostra volta produciamo. La mia identità si traduce, non in una scelta deliberata di essere in un certo modo, ma nei “Tu che mi hanno rispecchiato” e a cui ho reagito, sempre a partire dalle esperienze incorporate.
È questa condizione che consente “l’empatia”: noi ci comprendiamo perché esiste uno spazio neurale che abita contemporaneamente le mie emozioni e quelle dell’altro e che Gallese (2006) definisce spazio noi-centrico o sistema multiplo di condivisione.
Essere empaticinon ha niente a che fare con la sensibilità o la bontà d’animo, capiamo ciò che prova l’altro in virtù dello stesso meccanismo che ci permette di comprendere le azioni e gli argomenti altrui, grazie alle complesse connessioni dell’area motoria (dove hanno sede i fondamentali sistemi specchio) con i circuiti delle emozioni. Indubbiamente ci sono persone più empatiche di altre, ma sembra che ciò attenga alle molteplici forme di connessioni tra le mappe neurali operate dai rispecchiamenti nel corso della nostra esperienza. Per questo l’individualità e la collettività (chi ci ha segnato da vicino o indirettamente attraverso i libri, film, canzoni, Tv, Internet, social network…) non sono due sistemi separati, ma un sistema indivisibile.
Non si sta sostenendo che tutto il nostro comportamento dipende dall’attivazione di alcuni circuiti neurali (in questi successivamente si innesta il linguaggio che crea il livello simbolico e logico sulla cui base argomentiamo); significa che senza questo innesco, senza questa costruzione squisitamente corporea, non si formerebbe nulla e non apparirebbe neanche il mentale (embodied cognition).
Sorvolando sulla spinosa questione del libero arbitrio, a questo punto due domande sorgono spontanee: se siamo fatti per la socialità e forgiati in virtù di essa, come mai assistiamo sempre più ad una tendenza al solipsismo, all’individualismo sfrenato, alla strenua difesa delle proprie libertà senza tener conto di quella degli altri? E come può la scuola arginare questa tendenza autodistruttiva promuovendo l’intersoggettività primaria, nonché l’unità con l’ambiente che ci ospita e di cui siamo parte? Alcune riflessioni in questa direzione le ho trattate nel libro: Il ruolo delle rappresentazioni sensomotorie e metaforiche nell’apprendimento. (2022). Generis Publishing. ISBN: 978-1-63902-933-4
Bibliografia
Ammaniti M., Gallese V. (2014), La nascita dell’intersoggettività. Lo sviluppo del Sé tra psicodinamica e neurobiologia, Milano: Raffaello Cortina Editore
Gallese V. (2010), Il sé inter-corporeo. Un commento a “Il soggetto come sistema” di Manlio Iofrida, Ricerca Psicoanalitica, 3
Gallese V., Migone P., Eagle N. M (2006), La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane, 3
Rizzolatti G., Sinigaglia C. (2006), So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano: Raffaello Cortina Editore
Molto interessante l’articolo, anche perché avevo molto sentito parlare dei neuroni specchio senza sapere bene di cosa si trattasse. Tuttavia la questione del libero arbitrio mi sembra fondamentale. Non è un po’ troppo deterministico affermare che la nostra identità non è una scelta deliberata di essere in un certo modo? Sono sociologa di formazione e non ignoro ovviamente l’influenza dell’ambiente sulla formazione dell’identità dell’individuo, ma ci sono alcune scelte di fondo che sono, appunto, scelte.
Grazie Carla ! La questione che poni é annosa ed estremamente intricata .. quanto i miliardi di connessioni di cui la nostra mente é formata. Scegliamo ogni giorno di essere in un certo modo … ma cosa determina la nostra scelta ? Quei miliardi di collegamenti .. che é la nostra personale storia, a cui ovviamente abbiamo partecipato (coevoluzione) ma sempre interagendo indissolubilmente anche con lo stimolo ambientale che in quel momento attiva uno di quei rami della mia foresta cerebrale… che si gradualmente formata sin dalla nascita (anzi prima, durante la vita intra uterina, dove si comunica con l’esterno attraverso il corpo materno)
[29/10, 09:58] Daniela Mario: Questo non é determinismo meccanicismo o materialismo … funzioniamo così! Esserne consapevoli non deve rattristarci, anzi .. forse potrebbe portare a degli atteggiamenti più consoni nei confronti degli altri e dell’ambiente ! Siamo e viviamo in una interconnessione continua con tutto … Non dimentichiamoci che la vita é cominciata con i batteri , i virus.. che ancora abitano in noi, come il cervello rettile ! Non si disperde niente ! Tutto si evolve …
ho l’impressione che l’attuale individualismo sia un tentativo soggettivo di sottrarsi a tutto questo “peso” dell’ambiente e della collettività
😅😉
La non consapevolezza di questo peso … ci ha portato dove siamo : di fronte ad un cambiamento epocale .. a tutti i livelli !
Secondo te da cosa è stata determinata questa non consapevolezza?
😅Non vorrei diventare un oracolo .. io me lo spiego con le premesse che ho scritto nell’articolo: la consapevolezza é giunta negli ultimi 50 anni con la scienza (biologia, fisiologia, antropologia, scienze sociali) ma raramente i Tu che ci hanno rispecchiato ci hanno fatto notare “la struttura che connette” noi a tutto il resto.. infatti sono 50 anni che gli scienziati ci dicono che avevamo 50 anni per salvare il pianeta .. quanto c’é rimasto ? Noi ci siamo sempre comportati come se l’ambiente fosse “altro da noi” e quindi potessimo sfruttarlo a nostro piacimento …, così come il più forte continua a sfruttare il più debole… Occorre un cambio radicale di paradigma, un altro modus vivendi .. una TRANSIZIONE globale .. ma la vedo dura … adesso poi che stiamo tornando indietro.. in ogni campo ! 😉
Tranquilla, non cerco verità ma spunti di riflessione! Grazie per questo confronto 🤗
Il problema credo stia nel dualismo di mente e corpo le cui origini si perdono nella notte della storia e di tutte le civilizzazioni. Quali le origini? Credo c’entri la sofferenza prolungata senza speranza profonda che ti porta a non riconoscerti nel mondo e negli altri fino al punto di odiarli. Il punto è che quando le idee nascono vivono di vita propria e te le ritrovi in contesti dove magari la sofferenza non è la stessa esperienza. In ogni caso la consapevolezza della connessione e più antica del dualismo e sembra universale nelle società di caccia e raccolta. Il problema è come recuperare quello che sapevamo in un contesto completamente nuovo. Una sfida che paradossalmente richiede una grande capacità di innovazione nelle idee come nelle opere. Credo🤔
L’articolo attinge alla conoscenza scientifica sui rapporti intercorrenti tra il singolo individuo e la collettività per arrivare a sostenere un’idea di uomo come “essere sociale”. Alle evidenze portate a sostegno di questa “teoria dell’umano”, derivanti principalmente dalla neurobiologia, altre se ne sarebbero potute aggiungere tratte dall’antropologia e dall’etologia dei primati. In altre parole sembra proprio che lo “stato di natura”, ipotizzato dai filosofi giusnaturalisti liberali come condizione atomistica in cui si sarebbero trovati i primi sapiens precedentemente alla formazione della società civile, non sia mai esistito. Sennonchè Daniela, giustamente, interrogandosi sulle cause, fa notare come questa idea giusnaturalista “dell’individuo che basta a se stesso” sia non solo diffusa, ma persino dominante nella cultura occidentale. Segno evidente (dico io) che l’ideologia, che molti danno per morta, è più viva che mai sotto una sottile coltre di supposta laicità, ostentato agnosticismo ed esibita razionalità. Come dimostra Fukuyama nel suo saggio “Identità”, il solipsismo moderno ha profonde radici filosofiche (J.J. Rousseau) e religiose (la riforma protestante cui aggiungerei le varie sette gnostiche o para-gnostiche di ispirazione principalmente orientale). L’economia politica, per quanto vanti il titolo di “scienza sociale”, ne è pervasa dal momento che ha posto “l’individualismo metodologico” a fondamento di tutti i suoi calcoli per arrivare a formulare una mappa sufficientemente esaustiva del mercato e non solo. Inoltre, come dice bene Harari nel suo “da animali a Dei”, nè è colma anche la scienza politica che vede nello Stato il collante capace di tenere assieme, per mezzo di decreti sostenuti dalla forza fisica, quell’aggregato di atomi (cittadini o sudditi: comunque individui) altrimenti destinato alle dispersione caotica e violenta (T. Hobbes: homo omini lupus). Infine, per ultimo ma non ultimo per importanza, l’individualismo libertario è copiosamente, quotidianamente distribuito da una parte consistente del mondo artistico (es. l’estetismo esistenzialista che ha permeato i movimenti giovanili dagli anni ’60 in poi: vedi C. Lasch “la ribellione delle elite”). Conclusione: alla luce di tutto ciò si comprende ancora di più l’articolo di Dario Nicoli “Il ritorno della storia”, tuttora postato in cima al blog di PensarBene, e la sfida ciclopica che attende tutti coloro che vorranno riflettere sulle difficoltà della nostra fragile democrazia attualmente, ma non necessariamente, devastata dal narcisismo di un’élite meritocratica che ha fatto “dell’individuo che basta a se stesso” la pietra angolare della propria visione del mondo.
Quelli spiegati da Daniela sono funzionamenti neuronali, una sorta di reticolo di connessioni che segue una pista data. Ma da dove originano? Se li consideriamo dati di natura cadiamo nel determinismo da “animale evoluto” togliendo all’essere umano la sua libertà che consiste nelle capacità di cogliere il senso del reale, di pensiero, volontà e azione che sgorgano da un centro (anima) incondizionato ed inviolabile. Ma l’essere umano può anche rinunciare a questa libertà e comportarsi come un animale evoluto: è una sua decisione morale, che indica il tipo di bene che gli sta cuore.
Dario, io ho cercato di spiegare come funzioniamo a livello subpersonale (ciucuiteria neurale , corpo e movimento), senza il quale temo che l’anima non potrebbe esprimersi … ma non significa essere semplicemente animali evoluti (magari ci fosse rimasto qualcosa in più degli animali, cioè meno ragione), non significa seguire piste date! Il percorso di vita lo costruiamo nell’interazione continua e inevitabile con gli altri e l’ambiente ! Certo .. non possiamo scegliere dove nascere e da chi ! Questa é una pista data ! 😉
Molto interessante l’articolo di Daniela e molto chiaro. A me resta il dubbio che mi porto dietro da anni, dall’esame di psicologia generale. I neuroni a specchio, perche’ non “rispecchiano” sempre? Perche’ anche chi cresce in mezzo alla sofferenza e alla violenza non diventa una persona violenta?
Nello stesso modo se ricevi cure e attenzioni da parte di una comunita’ perche’ non diventi generoso.
Lo stesso dubbio mi e’ rimasto con la teoria di Bandura: si apprende per imitazione. Ma scelgo chi imitare. A casa mia nessuno mi imita altrimenti i piatti sarebbero sempre lavati. Banalizzo perche’ e’ domenica mattina, ma credo che oltre l’ambiente ci sia una volonta’ personale sempre attiva in noi.
🙏🏻
Le domande di Gabriella sono profonde e molto diffuse (almeno i miei clienti me le pongono spesso).
Perché gli “specchietti” non funzionano sempre ? 🤔Quando ci facciamo questa domanda, il più delle volte intendiamo: perché non rispecchiano quello che vorrei ? 😉 Magari ! Non ci sarebbero problemi educativi-formativi, né a casa né a scuola ! Il processo é molto complesso, sempre per quel intreccio inestricabile tra mondi interni ed esterni.
Parlo di ‘mondi’ non a caso! Come dicevo, ognuno di noi é un mondo in continua costruzione: il rispecchiamento avviene quando i due, o più mondi, si sintonizzano (Gallese spiega anche tecnicamente come avviene) cioè condividono “abbastanza” (tipo soglia prossimale di sviluppo di Vygotsckij) le loro pre-rappresentazioni dell’oggetto in questione. Rappresentazioni (legate alle esperienze motorie e cognitive di ognuno) collegate alle emozioni che abbiamo provato intorno a quell’oggetto, che sono a loro volta collegate ai desideri e scopi che perseguiamo..…
Quanta probabilità c’é che due mondi si incontrino (pensate anche alle diverse età, ai ruoli…ai diversi scopi)o risuonino in modo che ognuno si rispecchi nell’altro e si riconoscano come soggetti, non come oggetti (Iacoboni). Fondamentale poi é la relazione che si é instaurata tra me e l’altro nel corso degli anni: come mi fa sentire l’altro ? Incapace o capace? Un bene o un disturbo, ecc. Questo può chiudere la valvola del comportamento prima di ogni tentativo di poterlo cambiare (Perché non posso rispecchiarmi in chi non mi fa sentire “apposto”)…E poi c’é la questione del guadagno personale (termine che non ci piace, ma che agisce profondamente o automaticamente) che posso ricavare dall’assumere o meno il comportamento voluto da altri !
Di fronte alla violenza o maltrattamenti, posso imitarli o reagire positivamente perché ho ricevuto gli anticorpi da qualcuno che mi ha amato (ho mappato in memoria lo schema del bene che posso dare perché l’ho ricevuto) nonostante la povertà, la violenza domestica o sotto le bombe. Oppure da come mi “rappresento” il futuro e il ruolo che posso avere….Ma il discorso sarebbe lungo .. in un articolo del 2017 (sulla cognizione del rischio) parlo anche di Bandura, ma é troppo lungo e neuroscientifico per mandarvelo ! 😉
Le domande di Gabriella toccano il centro della questione: lo spazio di libertà dell’essere umano in quanto “qualcuno”. La scienza spiega la parte in cui l’uomo è “qualcosa”, esito delle condizioni interiori (ma da dove vengono e cosa ci dicono su di noi?) ed esteriori (ma che senso ha il reale ed in esso l’umanità così scandalosa ed insieme testarda nel perseguire il desiderio di compimento?). La storia procede con scoperte scientifiche sempre nuove, che gli intellettuali utilizzano come “specchio” per rispondere alle domande fondamentali: chi sono, dove sono, cosa ci sto a fare? Ogni scoperta apre una nuova dimensione dell’umano: meccanica, idraulica, elettrica, chimica, computazionale, fino al paradigma attuale relazionale e complesso. Ed ogni scoperta porta nuove tecniche di cura. Ma ora è l’anima che soffre: questo malessere come si può curare? Prevedo che il prossimo passo sarà rivolto al pneuma, all’aura, all’intuizione, alla risonanza ed alla illuminazione, visto che le rivoluzioni del ventesimo secolo hanno creato una “vita privata” ma per riempirla hanno offerto solo passioni tristi come consumi e identità innaturali, ed una accelerazione che procura spaesamento e non ci fa più sentire vivi. Soprattutto è crollata miseramente l’idea borghese secondo cui l’universo è stato creato per il nostro uso e consumo, per darci conforto, comodità e sostegno.
Grazie Dario, il tuo intervento esprime alcune cose che avrei voluto dire senza riuscire a trovare le parole adatte.
Il prezioso contributo scritto dalla Dott.ssa Daniela Mario conduce inevitabilmente il mio pensiero alla Montessori, al suo concetto di “mente assorbente”. Così scriveva: “il bambino può soltanto svilupparsi per mezzo di esperienze sull’ambiente: questo sperimentare noi lo chiamiamo lavoro (…) Il primo problema dell’educazione è di provvedere al bambino un ambiente che gli permetta di sviluppare le funzioni a lui assegnate dalla natura. (M. Montessori, “La mente del bambino”).
Le neuroscienze hanno dimostrato, in seguito, che sono le esperienze interpersonali ed emozionali precoci che sviluppano le capacità cognitive, ma non solo, come anche Montessori sosteneva, che il movimento è alla base dell’intelligenza, quindi, per esempio, che andrebbero adeguatamente favorite le sperimentazioni motorie e di coordinamento oculo-manuale. “L’educazione della mano è importante perché la mano è espressione dell’intelligenza umana, è l’organo della mente”. (M. Montessori, La scoperta del bambino).
E come scrive Alberto Oliviero: “nel corso del suo processo evolutivo il cervello ha bisogno di fare esperienze tattili e motorie perché si sviluppino quelle aree sensomotorie che costituiscono il punto di partenza per la maturazioni delle aree superiori, quelle del linguaggio e del pensiero complesso”. E inoltre: “…lo sviluppo del cervello è un processo che dipende dall’esperienza, in termini positivi e negativi. L’educazione ha quindi il compito di “dare forma al cervello”, un concetto che oggi si basa sui risultati empirici delle neuroscienze”. (Alberto Oliviero, “Il cervello che impara. Neuropedagogia dall’infanzia alla vecchiaia”).
Sono le impressioni fornite dall’ambiente esterno che penetrano nella mente e la formano, Montessori utilizzava l’espressione “si incarnano nella mente del bambino”. Il cervello si costruisce quindi sulle esperienze che nascono dall’incontro con l’ambiente. Ma l’esperienza che facciamo dell’ambiente circostante è esperienza di relazioni ed emozioni che possono essere legate a bisogni fisici, ma anche e soprattutto emotivi. Le teorie dell’attaccamento ci vengono in aiuto. L ’essere umano si sviluppa sulle influenze reciproche tra mente, corpo e psiche. Mi domando, allora, quanto si sia realmente consapevoli della valenza del nostro stile relazionale ed educativo, dell’influenza delle scelte che facciamo nello stare insieme nel quotidiano… Quanto vogliamo assumerci la responsabilità del valorizzare la condivisione costruttiva delle esperienze di ogni giorno, del facilitare lo stare insieme facendo e le situazioni in cui l’osservare permetta di apprendere questo modo di vivere il sociale? Se l’obiettivo ultimo del nostro percorso evolutivo è anche quello di imparare a vivere nel mondo comune e in pace (e sempre alla Montessori corre la mia mente verso la sua meravigliosa proposta dell’Educazione cosmica) forse le moderne neuroscienze ci indicano la strada. Eppure oggi più forze ci trattengono nel perseguirla.