Un racconto che lascia inquieti
di Bruno Perazzolo
Un muro separa la vita della famiglia Höss dal campo di Auschwitz. Lo spettatore è però tenuto, quasi permanentemente, dalla parte della “tranquilla e agiata” quotidianità degli Höss. Sono solo le immagini e i suoni, e poi gli spari che ogni tanto risuonano al di là del muro, ad introdurre il pubblico, piano piano, nel contesto più ampio, un contesto terribilmente interrogante: quello dello “spazio vitale”. Qual è lo “spazio vitale” di un popolo? Di una classe sociale? Lo “spazio vitale” di un clan o di una persona? Ciò che nel film, “la zona di interesse”, maggiormente inquieta non è unicamente la terribile Via Crucis degli ebrei, dei disabili, degli oppositori politici ecc., non è solo la storia dei campi di concentramento e delle tante altre atrocità naziste. Ad inquietare non è soltanto e non è soprattutto la storia passata. Inquieta il presente e il futuro. Inquieta sapere che storie del genere, la cui unica differenza è quella di essere state meno documentate, ne sono successe tante (il genocidio degli indiani d’America per via “dello spazio vitale” dei popoli europei; i gulag e le purghe per via “dello spazio vitale” del comunismo staliniano). La pellicola, in questo, risulta insuperabilmente allusiva delle nostre stesse vite. Praticamente impossibile documentare meglio, con la macchina da presa, ciò che ha il chiaro sapore di una metafora e la capacità di farsi sentire ben oltre la parte consapevole del nostro cervello: l’attitudine umana a rendersi completamente impermeabili e sordi alla sofferenza dei propri simili quando questi, fastidiosamente, “rientrano nello spazio vitale di qualcun altro”. Vengono in mente le periferie di parecchie città, le tante, “precarie favelas” delle popolazioni del Bangladesh colpite dai cambiamenti climatici il cui “spazio vitale è calpestato” dalla “zona di interesse di qualcun altro” che non sopporta l’idea di dover cambiare, anche solo un pochettino, il proprio stile di vita e di consumo. Inquieta il semplice muro che separa lo spazio vitale dei nazisti dalle camere di tortura di Auschwitz. Inquieta sapere che dietro l’angolo potrebbe esserci lo stesso confine che ci attende, che oltrepassarlo non è difficile e che la prossima volta potrebbe toccare proprio a noi diventare i protagonisti dell’ennesima, tragica storia la cui trama sembra impossibile poter archiviare una volta per tutte. Regia di Jonathan Glazer con Christian Friedel, Sandra Hüller, genere drammatico – storico, Gran Bretagna, Polonia, USA, 2023, durata 105 minuti, il film, pluripremiato e campione di incassi, al momento si può vedere solo nelle sale cinematografiche.
Bellissima recensione !
Anch’io sono inquietata da un presente che ci rimanda continuamente ad un passato che diventa sempre più presente e che penetra nel nostro spazio vitale quotidianamente: non solo due guerre alle porte di cui non si vede la fine, ma le troppe morti sul lavoro, le troppe donne uccise, i troppi orfani, i poveri che aumentano e tutto questo é sotto i nostri occhi quotidianamente, e senza un muro di protezione! Finiremo con l’ abituarci ? Si, é così che funziona il nostro cervello! La troppa esposizione al male lo fa diventare “normale”. É così che si formano le abitudini ! É questa dimensione é ancora più inquietante !
l’abitudine, certo! Ci si abitua a tutto, certo! Ma ogni tanto, cambia qualcosa e il nostro lavoro di ricerca, lettura ecc. penso serva a renderci consapevoli. Non sarà l’unico sistema, ma è un sistema. Grazie
Grazie Bruno. Mi basta la tua presentazione perché non riesco a vedere film sull’olocausto, c’è troppo concentrato di male
ti capisco. Grazie.
Purtroppo è vero e questo mi fa aprire un grande problema morale: fino a che punto bisogna ritenersi corresponsabili dei mali che affliggono gli altri? O forse lo stesso “stabilire un punto”, è già egoismo?
Non so, credo non si debba esagerare. Umiltà vuole che ciascuno faccia quello che può e io penso che il nostro lavoro ci stia dando una mano nella giusta direzione. Grazie.