Jeremy Bentham 1748 – 1832

La redazione di PensarBene

Con questo, ed altri due video – podcast che seguiranno, come richiesto da molti nostri soci e lettori, la nostra Associazione Culturale intende fornire un ulteriore strumento per avvicinare, chi fosse interessato, all’approfondimento di un filosofo: Michael Sandel, classe 1953. Ma perché la nostra Associazione ha scelto questo autore? Il motivo è semplice. Dovendo affrontare il tema della relazione tra “comunità e libertà”, oltre agli argomenti antropologici (Dumont) e sociologici (Durkheim, Tönnies), abbiamo trovato, nell’opera di Sandel, il tentativo di una sintesi profonda chiaramente collegata al precedente testo, quello di C. Lasch “La ribellione delle élite: il tradimento della democrazia” a suo tempo utilizzato per gli incontri di PensarBene sul tema: “le sfide della democrazia”, 2021 – ‘22. Abbiamo dunque scelto, di Sandel, il suo principale saggio “Giustizia: il nostro bene comune” come testo da porre al centro dei nostri prossimi eventi: luglio ’24 – febbraio ’25.

Ma entriamo nel merito del testo “Giustizia: il nostro bene comune”. Il saggio illustra criticamente le tre fondamentali correnti, filosofico morali e filosofico politiche, del pensiero occidentale a partire dal ‘600 e, cioè: il contrattualismo, giusnaturalismo di stampo liberale, l’utilitarismo improntato principalmente all’economia politica, il comunitarismo frutto di quello che, Salvatore Veca, chiama “lo slittamento della questione morale dal tema distributivo a quello identitario di fine XX sec.”. In questo primo episodio l’argomento trattato sarà quello dell’utilitarismo così come ce lo presenta il suo maggiore esponente: Jeremy Bentham (1748-1832)

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3 commenti


  1. Ho ascoltato il podcast.
    Mi viene da pensare, soprattutto considerando l’esempio della “città felice”, che il “problema” della teoria di Bentham sia definire la comunità come una *somma* di individui, di conseguenza massimizzare la felicità significa massimizzarla in senso quantitativo, cioè che l’importante è che più persone possibili siano felici al massimo grado, quindi si ammette una minoranza di persone infelici.
    Altri due esempi che ho trovato molto stimolanti sono: quello della tassa sulle sigarette: fa domandare se lo scopo di uno Stato sia guadagnare più ricchezza possibile per lo Stato o altro. Se le persone non ricavano un benessere da questa ricchezza, il guadagno e anche lo Stato diventano fini a se stessi.
    Infine l’esempio dei cristiani dati in pasto ai leoni, è molto attuale perché alla fine ci si chiede se sia giusto che l’unica argomentazione che ci possa trattenere da questo genere di divertimento è il fatto di avere un danno a noi stessi (un esempio di violenza…). Invece in una visione non utilitarista ci dovrebbe essere qualcos’altro a trattenerci, ovvero che dare le persone ai leoni è una cosa “sbagliata in sé”. Cioè che una cosa può essere sbagliata (e quindi da non fare) anche se non ha nessun effetto negativo nella vita di nessuno. È un’idea che mi sembra non sia ammessa nella società di oggi. Ad esempio quando si vanno a cercare delle argomentazioni contrarie alla pratica dell’ utero in affitto (che forse c’è sempre stata, ma non so come la argomentassero), si dice che il problemi sarebbero la concorrenza, l’eventuale cessazione in anticipo del contratto, il dare un valore economico alla vita, la rottura del legame fisio-psicologico, la non sicurezza di malattie…. Ebbene, io penso che se anche tutti questi problemi non ci fossero, se la pratica fosse completamente gratuita senza alcun legame di “sentirsi obbligati a chi mi ha fatto un favore”, se il bambino non subisse alcun trauma al distacco dalla madre… Ebbene, penso che comunque questa pratica sarebbe (o potrebbe essere) “sbagliata in sé” : è giusto pretendere di creare la vita a proprio piacimento, o non sarebbe giusto accettare i limiti naturali, nei quali la nostra stessa vita è inscritta? Ho fatto questo esempio e non vorrei passare per retrograda, però mi è utile per dire che secondo me c’è una distinzione tra ciò che è giusto “di diritto” (=giusto perché non produce danno a nessuno, come l’utero in affitto fatto in modo ideale -come ho detto prima- che in fondo non fa del male a nessuno, e quindi è lecito), e giusto in senso “morale” (= giusto perché si attiene a dei limiti di cui facciamo parte in quanto esseri umani).

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    1. Author

      Cara Sara, non mi sembri affatto retrograda. Nel tuo commento tocchi tanti punti cruciali con considerazioni profonde e, per quanto mi riguarda, convincenti. L’approccio individualistico dell’utilitarismo, il ruolo dello Stato all’interno di questo approccio e, infine, la questione morale con una considerazione che mi sembra rifletta la posizione di Kant, ma anche, e forse ancora di più, una visione etica premoderna che oggi, come sempre, si presenta come l’alternativa più radicale e, al tempo stesso più realista, all’individualismo. Grazie

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