Leggendo numerosi articoli a riguardo (tra cui “Le scuole aperte per tutta l’estate. Ma le lezioni finiranno a giugno” del 04/03/21 su «La Repubblica»), concordo sul fatto che quest’estate le scuole andrebbero tenute aperte. Dobbiamo però considerare alcune questioni insormontabili:
- Gli studenti e gli insegnanti avranno voglia di andare avanti, rispettivamente, a studiare e spiegare fino a fine giugno/metà luglio?
- Di conseguenza, è giusto che questo mese/mese e mezzo venisse usato per fare didattica “normale”? Non sarebbe invece più corretto dedicare questo tempo a laboratori (anche fuori dagli schemi), conferenze, attività inerenti al CV degli studenti?
Nell’articolo sopra citato viene avanzata l’ipotesi che questo lasso di tempo verrà utilizzato per svolgere i cosiddetti “recuperi”, volti a colmare le lacune che la DAD ha inesorabilmente provocato. E qui viene spontaneo chiedersi: tali recuperi verranno affrontati come gli scorsi anni? È possibile che la mole di programma non svolto o poco approfondito possa essere recuperato dagli studenti in così poco tempo? Non è forse più importante per i ragazzi dare loro ciò che dovrebbe essere il fine della scuola, e cioè quello di insegnare a vivere la vita in modo coscienzioso e con senso civico e critico?
Il neo-ministro dell’Istruzione Bianchi dice che lo Stato ha stanziato ben 250 mln di euro (tra legge di bilancio e fondi PON) a sostegno di questa “nuova scuola”, che dovremmo vedere attivarsi a fine anno scolastico, e che prevede, tra le altre iniziative, che vengano istituiti dei corsi di recupero e dei momenti di approfondimento. Ma il fatto più significativo, a parer mio, è che saranno i singoli istituti a decidere quali attività svolgere e in che modo.
Finalmente viene data la libertà alle scuole, che negli ultimi anni tanto viene meno. Ho sempre sostenuto che ogni istituto scolastico è un ecosistema a sé stante. L’Italia è un Paese enorme, e da nord a sud gli usi e i costumi variano moltissimo: è per questo che ogni scuola potrà e dovrà decidere da sé se portare i propri studenti nei boschi dietro alla scuola per una lezione di biologia alternativa, o se portarli in un’azienda del territorio per scoprire come funziona la sua filiera produttiva.
Ma soprattutto, per questo periodo di didattica un po’ speciale serviranno anche dei giudizi speciali. Perché, nonostante tutto, in Italia siamo ancora molto legati al concetto di “giudizio” e di “voto”. Basta con i voti scritti sul registro, e via libera ai giudizi degli insegnanti, un po’ come si faceva un tempo. “L’alunno ha abilmente concluso la ricerca di scienze, raccogliendo tantissimi spunti e materiali interessanti durante l’uscita nei boschi di oggi”, oppure “Lo studente ha saputo affrontare benissimo la coding challenge sostenuta con i suoi colleghi dell’istituto scolastico XY, grazie anche ai quiz svolti a lezione”, o anche “L’alunna ha brillantemente portato a termine la sua presentazione sull’esperienza di martedì presso l’azienda XY”.
Ecco, forse sono questi i “voti” che gli studenti vorrebbero ricevere.
Ci sarebbe anche da dire, a difesa dei docenti, che gran parte degli studenti, con l’avvento della didattica a distanza, ha perso quel briciolo di voglia di fare che era loro rimasto: come sostengo da tempo, gli studenti “new-gen” hanno sempre di più perso la loro voglia di sapere, di conoscere il mondo che li circonda. E questo fenomeno si verifica proprio per il loro «tallone d’Achille» più grande: i social network. I ragazzi di oggi sostengono di sapere ormai tutto, di non aver bisogno del sapere che viene loro insegnato a scuola, visto che oltretutto ciò che non sanno possono cercarlo sul Web. E a dimostrazione di ciò che dico sono le numerose storie Instagram che vedo circolare sul web durante le lezioni in DAD, per esempio. Ma potrei farne molti altri, di esempi come questo.
E ultimamente, sempre purtroppo, ci sono anche molti genitori che difendono i figli, giustificando la loro mancata voglia di applicarsi dando la colpa agli insegnanti di non fare bene il proprio lavoro, perché “la prof, da quando è a casa, non fa nulla”, “si vede che quello lì ha una gran voglia di fare, come no!”.
Per fortuna esistono ancora scuole, che si possono considerare come delle vere e proprie “comunità”, nelle quali ci sono studenti e insegnanti che riescono a lavorare in maniera pacifica, come se stessero in famiglia, e le lezioni, più che sembrare banali, sembrano più delle chiacchierate e dei dibattiti tra amici. E questo, a parer mio, accade grazie a professori devoti come pochi al proprio lavoro.
In ultima analisi, per riuscire ad attuare questo complesso «piano d’azione» qual è l’apertura delle scuole a giugno, servirebbe che gli studenti si avvicinassero di più alla scuola, intesa però come luogo di scambio, come posto dove incontrarsi, stare insieme, leggere bei libri e, perché no, ascoltare anche della bella musica.
Solo in questo modo tale iniziativa avrà un senso.
A proposito di musica, perché non considerare la formazione musicale e corale come complemento al curriculo dello studente? La mia osservazione nasce da un’esperienza personale che mi ha vista come referente, per anni, del progetto coro di una scuola secondaria di secondo grado della provincia di Varese. La musica, intesa come linguaggio universale, rappresenta il mezzo per eccellenza di superamento di ostacoli sociali, linguistici, attitudinali. La musica unisce, apre la mente e sensibilizza all’altro, al diverso, alla realtà. Un coro, un’orchestra sarebbero una proposta “estiva” degna di considerazione da parte delle istituzioni scolastiche, in completa autonomia decisionale, sfruttando magari risorse interne , come i docenti di potenziamento.
Concordo con il tuo pensiero. Il coro è un’idea molto buona, e volendo ampliare questo concetto penso anche a tutti quei ragazzi che desiderano sfondare nel mondo del rap/trap/pop. La scuola sarebbe un ottimo luogo dove poter sviluppare queste passioni, magari con un “sottofondo” didattico e in maniera più sicura (passatemi il termine).
Disamina molto interessante, in particolare per lo spunto da cui è partita. Personalmente ritengo che il tema dell’apertura della scuola su un arco temporale diverso debba essere affrontato insieme a necessarie condizioni strutturali e contrattuali adeguate. Oggi, purtroppo, la scuola si ritrova a soffrire per decenni di tagli, investimenti sbagliati, riforme calate dall’alto, precarizzazione del lavoro, non adeguatezza del CCNL, burocratizzazione, svuotamento degli organi partecipativi,… Con tali condizioni, una proposta come questa rischia di cadere sotto i colpi della polemica fine a se stessa o della stanchezza di coloro che fanno ancora pulsare questa comunità educante.
Grazie per le riflessioni offerte.