di Dario Nicoli
È decisamente istruttivo rivedere i grandi film a distanza di tempo, come mi è capitato la notte del 6 gennaio per Miracolo a Milano uscito nel 1951 e realizzato e diretto da Vittorio De Sica, per la cui sceneggiatura si è avvalso della preziosa collaborazione di Cesare Zavattini che è l’autore del libro Totò il buono, edito nel 1943, da cui il film è stato tratto.
L’origine del libro, che reca in copertina il sottotitolo “Romanzo per ragazzi (che possono leggere anche gli adulti”), si trova nell’incontro, e nell’amicizia durata tutta la vita, tra lo stesso Zavattini e Antonio De Curtis, nato dall’idea di realizzare un film sulla figura di Totò il buono, un ragazzo innocente che si muove nel mondo mosso da un sentimento di attrazione verso i poveri cui fa da contrasto l’avversione per i potenti.
Nato sotto un cavolo dell’orto di Lolotta, un’amorevole vecchietta che lo alleva come un figlio, alla sua morte, ancora bambino, viene affidato ad un orfanatrofio, uscendone maggiorenne.
È un giovanotto spontaneo ed entusiasta, attratto dal semplice mondo dei “baracchesi” che vivono in un prato abbandonato presso la stazione di Lambrate, ma insofferente verso l’avidità del potente che vuole sfruttare il petrolio che improvvisamente sgorga dal terreno su cui risiedono. Ma, a differenza delle tante storie che ispirano la filmografia odierna, la resistenza dei residenti non assume la forma di una mobilitazione politica ad opera di organizzatori esperti di diritto, ma nasce dall’istintivo sentimento di giustizia che i poveri avvertono con speciale nettezza, e dalla fiducia in questo giovane così diverso dagli altri in quanto non segue un programma, ma si affida alla memoria della sua nonnina-mamma. È lei che gli consegna una colomba che consente di fermare le ruspe dello speculatore e di realizzare i sogni ingenui dei suoi amici, ma quando questi poco a poco si trasformano in sete di ricchezza la magia del dono viene meno.
Il finale è decisamente sorprendente: il viaggio sulla scopa dei due protagonisti assieme a tutti i suoi amici in direzione del vasto cielo, spiega l’abbinamento con la festa 6 gennaio: la scopa, cavalcata nel modo della Befana, è il simbolo della forza che spazza via tutte le preoccupazioni ed apre ad un anno veramente nuovo.
Una finale da cui scaturisce la domanda: ma questo film si può considerare parte del neorealismo? Certamente sì, non solo perché è totalmente girato per strada, ma anche perché ciò che molti critici chiamano “sogno” è piuttosto il mistero, elemento di cui la realtà è intrisa nel profondo, senza la percezione del quale il mondo è solo casualità e cupezza.
Per meglio comprendere questa dimensione del reale, ci viene incontro la vicenda biblica di Giuseppe figlio di Giacobbe, colui che legge i sogni degli altri e che si affida ai suoi stessi sogni o “visioni”. Venduto dai fratelli invidiosi a mercanti diretti in Egitto, entra nelle grazie del Faraone proprio per aver saputo interpretare il sogno delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre. Anch’egli è una figura di uomo buono in quanto, divenuto molto potente, non rende affatto ai fratelli il male ricevuto ma, certo che la sua attuale posizione è opera divina, provvede al sostentamento di tutto il clan familiare per l’intero periodo della carestia.
E si capisce perché il film è uno dei più amati della storia del cinema italiano e perché per il suo carattere sorprendente viene studiato in molte scuole di cinematografia del mondo. Perché, come afferma Georges Bataille – che nell’ultima parte della sua vita si è occupato dei disegni rupestri delle caverne di Lascaux – l’arte segna il vero inizio dell’umanità, in quanto corrisponde a «quella brama di miracolo, che è, nell’arte come nella passione, l’aspirazione più profonda della vita».
Miracolo a Milano può essere visto con abbonamento su Infinity e su Amazon Prime Video.