di Bruno Perazzolo e Marta Bosetti
Regia di Jasmila Zbanic, Genere Drammatico, Bosnia – Herzegovina, Austria, Romania, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Francia, Norvegia, 2020, durata 103 minuti. Il film porta nello schermo la pura tragedia umana. La vicenda della protagonista, Aida, tiene lo spettatore incollato allo schermo senza mai oscurare lo sfondo di un’autentica guerra combattuta in Bosnia – Herzegovina, ma che si sarebbe potuta ambientare in tante altre parti del mondo dove il medesimo dramma si ripete nell’impotenza della comunità internazionale. Aida, impiegata dai militari ONU come interprete, posta di fronte alla catastrofe umanitaria che le si prospetta a causa dell’avanzata dell’esercito serbo, ricorre ad ogni mezzo, legittimo e non, per salvare la sua famiglia e, con essa, tutto ciò che, oltre al suo lavoro di insegnante, la tiene aggrappata al mondo. La parte rimanente del racconto altro non è che storia vera: il cinico massacro di Srebrenica in cui trovarono la morte circa 8.000 civili, musulmani bosniaci, completamente inermi. Alla fine della proiezione del film non resta che il silenzio delle persone che si allontanano mestamente dalla sala cinematografica con una “stretta allo stomaco” e nella testa una tempesta di emozioni e di pensieri contraddittori e confusi che si sviluppano in un intrico apparentemente irrisolvibile. Sensazioni che abbiamo vissuto tante volte di fronte ad un’importante opera d’arte che sempre ci interroga ponendoci di fronte alla complessità del reale. Sensazioni che però, di norma, sbiadiscono non appena la quotidianità torna a farsi padrona della scena. Sennonchè, questa volta, le cose non sembrano andare per questo verso. Abbiamo la percezione di una continuità tra quello che abbiamo appena appreso alla TV e quanto visto al cinema. La guerra in Ucraina rende tremendamente tutto più attuale, tragedia compresa. Malgrado il nostro impegno “di buoni cittadini occidentali”, la rimozione dell’orrore, del lato tragico della storia, sembra in questo momento impossibile. Impossibile dimenticare, impossibile cancellare l’evidenza che fa ora vacillare pericolosamente la nostra utopica, cieca fede nella storia, nel progresso tecno-umanistico e nella ragione illuministica e positivistica. Inopinatamente ci ritroviamo in compagnia del capitano Villard a risalire il fiume che, nel capolavoro di Francis Ford Coppola, Apocalypse Now, USA 1979, ci riporta ai nostri antenati. A quell’Homo sapiens che, nella figura del colonnello Kurtz, ci riconduce al lato oscuro – irrisolto e sempre latente – della nostra specie che, come sostiene Yuval N. Harari nel suo “Da animali a dei”, edito da Bompiani, tra i 50.000 e i 10.000 anni a.C., non appena arrivava su un nuovo territorio causava l’estinzione delle altre popolazioni ominidi native.
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