di Dario Nicoli
Quel che maggiormente colpisce del dibattito che si è scatenato sull’Intelligenza artificiale è la sua astrattezza, senza alcun riferimento alle questioni che sfidano l’intelligenza umana in questo tempo decisamente inedito.
Ciò vale per la profezia della sostituzione del lavoro umano da parte del lavoro artificiale, che risulta totalmente smentita dall’intreccio tra calo demografico e carenza di persone disponibili a svolgere i lavori più richiesti: qualificati e tecnici dell’industria e degli impianti, addetti alle vendite, artigiani, personale del settore turistico e della ristorazione, ma anche personale preparato sul tema della sostenibilità. Già oggi risultano inevase oltre settecentomila richieste di lavoro da parte delle imprese, attività che non possono essere certo svolte da dispositivi governati da algoritmi, bensì da esseri umani dotati dell’intero ventaglio delle facoltà proprie dell’intelligenza “naturale”.
Ma vale anche per la profezia del cosiddetto “superamento” dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale: non sono poche le voci di coloro che paventano un futuro prossimo nel quale questi sistemi travalicheranno le capacità intellettive umane, ma questo sarebbe vero se l’intelligenza umana fosse costituita soltanto dalle capacità che riguardano il mondo noto, e non quello che affronta ogni giorno scenari imprevisti.
La nostra società è alle prese con un compito culturale che travalica ampiamente le capacità delle nuove macchine e sollecita il pieno esercizio delle facoltà esclusivamente umane, al centro del quale si pone il duplice interrogativo: “cosa stiamo facendo al mondo? e cosa stiamo facendo a noi stessi?”.
È una questione che riguarda contemporaneamente l’ambiente naturale che subisce le conseguenze distruttive dell’azione umana, ma anche la civiltà umana e il mondo interiore di ciascuno di noi.
Stiamo facendo i conti con i problemi, i disturbi ed i tormenti che investono tutte le dimensioni del vivere: il dubbio circa il senso del cammino della civiltà; la percezione di non essere se stessi, ma fatti oggetto di una nuova alienazione, una sorta di potere “dolce” che ci induce a fare cose che non corrispondono alla nostra attesa; lo spaesamento del mondo comune; il senso di logoramento delle nostre energie in un modo di vita con tanto stress e poche vere consolazioni.
Tutto il nostro essere è combattuto entro due prospettive tra di loro inconciliabili: essere protetti da qualsiasi cosa che possa turbare il nostro “circolo dei bisogni” inteso come infinita possibilità di scelta oltre gli stessi limiti biologici, e nel contempo poter far esperienza della meraviglia dell’essere che precede il nostro io ed assumere una responsabilità che ci stimoli ad agire in modo nuovo.
La prima prospettiva deriva dal concepire il mondo come caos, da cui deriva il sentirsi soli in un universo muto, che non ci parla più. L’individuo si rinchiude in se stesso per difendersi dagli spiriti del caos, convinto che la sua mente è la sola ordinatrice e l’unica fonte di significato e di conoscenza.
La seconda indica l’incanto, l’esperienza che accade alla persona quando si accosta al cosmo con un approccio umile e reverenziale in quanto realtà intrinsecamente bella e significativa e quindi dotata di un ordine, una realtà più grande di cui il suo stesso io è costituito, generando in lei la possibilità di vivere più pienamente ed intensamente.
La mente “razionale” immaginata dai tecnocrati è una figura astratta dalla quale sono espulse tutte le dimensioni non riducibili ad uno schema aritmetico.
Quella artificiale non è intelligenza, ma un’imitazione di alcune funzionalità umane gestite da algoritmi che funzionano in base a calcoli matematici. Piuttosto che da essa, l’intelligenza umana è minacciata dalla stanchezza del pensiero, dall’appannamento del desiderio, dall’appassimento dell’arte, dalla pretesa di autosufficienza e dall’ossessione dell’affermazione di sé che ci isola e ci rende insensibili nei confronti degli altri e del mondo che abbiamo in comune.
È dal disincanto in quanto indebolimento del gusto e dell’amore per la vita che deriva la preoccupante tendenza autodistruttiva della nostra civiltà.
Un altro contributo di Dario molto stimolante (mi vien voglia di scrivere anche un mio articolo) che, per come la vedo io, propone una “metariflessione” sugli argomenti con i quali normalmente viene affrontato il tema dell’intelligenza artificiale. Grazie Dario