Oramai l’opinione è pressoché unanime: il tradizionale binomio lezioni – verifiche non funziona o, almeno, non funziona per la maggior parte degli studenti. Parlano chiaro i dati INVALSI, OCSE PISA e quelli relativi alla dispersione scolastica sia formale sia sostanziale forniti, per esempio, dalla percentuale abnorme dei giovani cosiddetti NEET, cioè che non studiano e che un lavoro neppure lo cercano.
Se, rispetto alla “Catena del Valore” della società, la scuola rappresenta oggi, universalmente, la fondamentale infrastruttura, l’economia del nostro paese deve fare i conti con il “collo di bottiglia” che ne impedisce lo sviluppo. Non si tratta, però, di sola economia. A pagare il prezzo più alto sono le persone e le famiglie. Prova ne sia il fatto che, oramai da tempo, la scuola ha cessato di essere quel fattore di mobilità sociale, generativo di opportunità e libertà, che era diventata per buona parte del ‘900.
Dalle risposte a tale grave fenomeno sembrerebbe emergere un orientamento condiviso: quel che serve è una scuola laboratoriale che non rinuncia alle discipline, ai saperi e neppure alle nozioni. Scuola laboratoriale, infatti, significa che, oltre alla consegna dei saperi, ci deve essere un momento dell’attività didattica in cui i ragazzi vengono incentivati a utilizzare le conoscenze acquisite in contesti di vita reali, tramite progetti sfidanti capaci di “RIFLETTERNE” le attitudini e/o i talenti e/o l’identità.
Se, dunque, sul laboratorio, l’”opinione pubblica” risulta tendenzialmente concorde, il tema diventa ora quello di capire come mai, malgrado la molteplicità delle esperienze locali riconducibili all’“IMPARAR FACENDO” intraprese negli ultimi decenni, malgrado i ripetuti appelli e le migliaia di convegni, la scuola, nel suo complesso, sia rimasta al palo dell’annoso binomio lezione – verifica.
Nell’introduzione all’intervista ad alcuni neodiplomati dell’Edith Stein di Gavirate, ho cercato di chiarire i termini della questione utilizzando l’analogia con il cosiddetto “Effetto farfalla”: il battito d’ali in Amazzonia che genera un uragano negli USA. Com’è possibile che da una cosa tanto piccola possa derivare un effetto tanto grande? Per dirla con Luigino Bruni, “cosa può rendere una piccola esperienza un evento profetico (che indica il futuro tramite un’opera già presente) distinguendola da un’utopia?” Credo dipenda dal contesto. E’ il contesto a DETERMINARE il SIGNIFICATO ed è il SIGNIFICATO che svela la NATURA delle cose e ci indica il DESTINO, al di là dei nostri sforzi o dei buoni intendimenti. Se l’insieme dei fattori che contestualizzano un certo evento sono tali da creare circuiti in progressiva e incontrollata espansione (un biologo direbbe, circuiti NON omeostatici), allora il battito d’ali potrà effettivamente scatenare l’Uragano. Diversamente, se nella scuola continua a dominare l’autoreferenzialità, gli effetti dei segni profetici tenderanno a declinare fino a sparire del tutto.
Chiunque abbia lavorato nella scuola italiana per un discreto lasso di tempo, sa che questa è piena di “battiti d’ali di farfalle”. Molti Colleghi e Dirigenti Scolastici “lanciano tutti i giorni il loro sasso nello stagno”. “Le onde si alzano, ma poi, piano piano, scemano” scontrandosi con un contesto RESILIENTE che, malgrado lamenti e prediche e corsi di aggiornamento sull’inefficacia e inefficienza della scuola italiana, resta saldamente ancorato al tradizionale MODELLO AMMINISTRATIVO. La scuola pensa se stessa, sostanzialmente, come una branca della Stato Apparato: impersonale, omologata, dappertutto uguale con i suoi programmi, le lezioni e le sue verifiche. Quest’idea e questa pratica di scuola, alla fine, RESISTE trasformando ogni sincero tentativo di cambiamento, in un utopico “volo di Icaro”.
Dice bene Nicoli nel suo articolo “La scuola non ha bisogno di riforme ma di rinnovamento”. Non è dell’ennesima riforma che la scuola sente il bisogno. Quello che serve veramente è un RINNOVAMENTO, una ripartenza. Non una riforma che aggiunga, ma una ripartenza che tolga adempimenti, burocrazia e saperi pleonastici. Non una riforma incentrata nel vecchio paradigma, ma un rinnovamento fondato su una nuova VISIONE capace di andare al cuore del problema: la crisi culturale ed educativa che sta alla base delle nostre “stanche democrazie”. Dice benissimo lo spot della RAI firmato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: “la RI-GENERAZIONE del paese parte dalla scuola perchè LA SCUOLA E’ IL BATTITO DELLA COMUNITA’”. Sennonché uno spot resta solo uno spot se ad esso non fanno seguito le opere. Nell’intervista ai ragazzi dello Stein di Gavirate, la terza domanda posta dal conduttore di PensarBene era: “Dal vostro punto di vista di ex alunni appena diplomati, COSA SERVE ALLA SCUOLA OGGI?” Le risposte – richiamate nei successivi articoli di Daniela Mario, Luca Cadili e Gabriella Morello – sono state, al tempo stesso, chiare, semplici e profonde: serve una scuola che sappia metterci alla prova; una scuola che incrementi l’esperienza del mondo che ci circonda; una scuola CAPACE DI FARE SQUADRA al proprio interno RAPPORTANDOSI al lavoro, alle imprese e alla comunità di cui siamo tutti parte; serve una scuola che sappia empaticamente vedere, DIETRO L’ALLIEVO, LA PERSONA. Parole come pietre! Parole che restituiscono un’idea di SCUOLA APERTA AL TERRITORIO, CUORE DELLA COMUNITA’ perchè NEL cuore della comunità di cui la scuola stessa, reciprocamente, SAPPIA PRENDERSI CURA. Parole come pietre! Ma cosa possiamo fare per realizzare tutte queste belle cose? Come far sì che le tante, piccole esperienze locali, sempre presenti nella scuola, possano divenire quel “battito d’ali di farfalla capace di sconvolgere il mondo” passando dall’utopia all’esperienza profetica? Come già accennato, credo che tutto ciò sia possibile operando sul CONTESTO PIUTTOSTO CHE SULL’ATTO. In altre parole, è dal cambiamento del contesto dell’attività didattica, ovvero dal mutamento della GOVERNANCE DEL SISTEMA – in primis le forme di reclutamento del personale, la modalità di direzione delle singole istituzioni scolastiche – che potremo attenderci quel RINNOVAMENTO che le molte riforme non hanno saputo dare perchè impegnate a CAMBIARE I CONTENUTI ED IL METODO DEL LAVORO DEI DOCENTI SENZA OCCUPARSI A SUFFICIENZA DEL LORO SIGNIFICATO, quindi alle difficili modifiche che sarebbe necessario apportare ai livelli più elevati di governo del sistema educativo.