Un fatto accaduto circa un mese fa, ma che, alla luce dei commenti di cronaca e a distanza di tempo, merita una riflessione più generale e profonda
di Bruno Perazzolo
La cronaca ne ha parlato ampiamente sottolineando, giustamente, come l’esplosione di Starship potesse essere intesa esattamente come Musk l’ha intesa: un fallimento produttivo, insomma un mezzo successo. Sì, perché un’impresa titanica quale quella sognata da Musk non può realisticamente escludere il “fallimento che insegna”, ovvero che genera il necessario apprendimento. Lo stesso che è stato indispensabile per scoprire le Americhe nel XV sec.. Quanti ci hanno provato, senza riuscirci, prima di Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci. E’ normale, l’apprendimento è dissipativo, procede per tentativi ed errori. Quando poi apprendere significa cambiare la visione che gli uomini hanno del mondo, allora l’errore, oltre ad essere certo, diventa anche più frequente e assai oneroso da sostenere. Sin qui la cronaca. Il nuovo che mi è venuto in mente, parlandone con amici dopo alcune settimane, è, però, qualcosa di diverso. Qualcosa che non riguarda tanto l’impresa titanica di Musk in sé e per sé, quanto il contesto in cui è avvenuta e, sicuramente, avrà modo di svilupparsi prossimamente.
Se le imprese di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci, rispettivamente, sono state finanziate dai regnanti di Spagna e Portogallo, quella di Musk passerà molto probabilmente alla storia come l’impresa ciclopica di un magnate della finanza e della grande impresa oligopolistica: Tesla, Twitter, SpaceX, Neuralink. Più chiaro di così è impossibile che sia!! Mentre i vecchi e logori Stati-nazione accumulano “debiti sovrani” – una specie di ossimoro che si chiarisce meglio se si prova a capovolge il concetto in “sovrani debiti” – la grande impresa globale disegna il nostro futuro letteralmente facendo la storia del mondo nel quale, bene o male, tutti quanti noi dovremo vivere.
Certo nella saggistica si trovano ampie tracce di questo ribaltamento gerarchico che al vertice della piramide sociale ha portato la grande finanza globale cui gli Stati-nazione risultano, da qualche decennio, sottomessi. Va detto, peraltro, che proprio questo capovolgimento del rapporto tra Stato e Mercato hanno sempre teorizzato i liberali e la maggior parte dei democratici facendosi paladini dell’idea che l’economia la fanno i privati e che allo Stato spetti unicamente fornire le necessarie infrastrutture giuridiche, territoriali, industriali e redistributive che stanno alla base dello sviluppo delle imprese. Sennonchè, bisogna ora riconoscere che un conto è l’economia dei privati in tempi di liberi mercati concorrenziali regolati da uno Stato ancora capace di “comandare in casa propria”, un altro è la stessa economia gestita da un gruppo ristretto di oligopolisti capaci di esercitare sugli Stati-nazione, grazie ai processi di globalizzazione ed ai sistemi lobbistici, un’enorme influenza che, a tratti, sembra assumere il tono del puro e semplice asservimento.
Alla luce di queste considerazioni, abbastanza facili da reperire in libreria, “stupisce” che la maggior parte dei media non abbia colto, nell’esplosione di Starship, l’enorme interrogativo che questo evento dovrebbe suscitare sulla consistenza dei nostri attuali sistemi democratici. Si dà il caso, infatti, che il regno della grande finanza non sia propriamente la patria ideale della democrazia. Al contrario, oggi sappiamo tutti (lo si insegna a scuola negli Istituti Commerciali) che grazie alla responsabilità limitata e ai gruppi di società capeggiati da holding finanziarie, è possibile gestire burocraticamente e con rischi assai ridotti, veri e propri imperi economici capaci di assicurare, tramite l’azionariato diffuso, alle poche famiglie che ora controllano la gran parte della ricchezza mondiale, la gestione di patrimoni ancora più grandi.
Concludo con una domanda: se ora dobbiamo alla grande finanza il disegno del nostro futuro, cosa resta da decidere alla sovranità popolare?