Per spiegare la vittoria dell’’Italia sull’Inghilterra nel campionato europeo di calcio sono state giustamente richiamate le differenze tecniche delle due squadre: quella inglese molto centrata sulla forza fisica, la velocità e la capacità di realizzazione, quella italiana più coesa, esito di un lavoro di diversi anni, con un gruppo di oltre una ventina di giocatori in grado di proporre diverse soluzioni di gioco a seconda degli avversari e delle situazioni.
Queste caratteristiche rivelano che dietro alla tecnica vi è uno spirito molto differente, che emerge da alcune frasi rivelative dei due allenatori: Southgate, dopo aver battuto la Germania – in verità una copia sbiadita del grande calcio tedesco – si è lasciato sfuggire un’espressione di grande amor patrio: «siamo un Paese speciale, storicamente incredibile e so che non potrei essere più orgoglioso di essere un inglese». Da parte sua Mancini non ha mai mancato di porre l’accento sul gioco e sui valori umani che questo racchiude, ripetendo come un mantra che «giocare a Wembley deve essere un piacere» e che “i ragazzi sono stati straordinari, un gruppo meraviglioso».
Mentre l’inglese vede il calcio come l’espressione di un’identità nazionale superiore che impone ai suoi membri la missione di confermarne l’unicità di fronte al mondo, l’italiano cerca il valore dell’italianità nell’esperienza reale e nel piacere di giocare come compimento della passione-vocazione calcistica che pervade la squadra. Certamente la fortuna in queste vicende gioca la sua parte, ma è importante anche ciò che passa per la testa dei protagonisti. Gli italiani hanno reagito allo svantaggio iniziale ritrovando poco a poco l’intesa e la coesione che li caratterizza, riducendo al minimo gli errori e creando occasioni da rete, mentre era percepibile nel gioco stentato degli inglesi la paura di non essere all’altezza del destino nazionale e la premonizione dell’insuccesso. Ai calci di rigore questa sproporzione è apparsa evidente: l’allenatore inglese, convinto di essere sospinto dal Destino, ha messo in campo due ragazzi, Marcus Rashford e Jadon Sancho, gravando su di essi un peso insostenibile, diversamente da Donnarumma, anche lui molto giovane, che, sostenuto da un legame di squadra, ha potuto “soltanto” concentrarsi sul parare i loro rigori.
Un sentimento nazionale eccessivo, persino metafisico, confonde i pensieri ed impedisce la spontaneità dei gesti, mentre un’identità radicata nei valori umani della passione, della competenza, del senso del gruppo e della creatività rende più lieve il compito e smuove le forze generative delle persone e della comunità.
È un insegnamento che, ovviamente, vale anche per la Brexit.
Riflettete inglesi, riflettete.