Da un anno circa abbiamo aperto nel nostro blog la rubrica “storie d’incanto”. L’articolo di Benedetta, che ringraziamo, rappresenta perfettamente lo spirito che anima l’insieme dei contributi che, man mano, stiamo raccogliendo sotto questa categoria. Un insieme di FATTI che attestano, pur nella loro varietà, una stessa verità e un apparente paradosso: l’uomo non è fatto per stare solo e proprio quando la solitudine sembra sopraffarlo relegandolo ai margini e mostrandone tutte le fragilità ecco che il miracolo diventa più probabile. Il dono diventa reciprocità, l’individuo diventa una persona e l’IO diventa un Noi.

Benedetta Nicoli

Casa Amoris Laetitia è una struttura residenziale che offre servizi sanitari e socioassistenziali a minori, soprattutto bambini, con disabilità molto gravi e che è parte della Fondazione Angelo Custode, una realtà che opera attraverso molteplici servizi sul territorio bergamasco.

La Casa ospita anche i genitori, i fratelli e le sorelle dei bambini cui viene dedicata assistenza. Infatti, una delle principali convinzioni alla base della Casa è che immaginare il bambino separatamente dalla sua famiglia è un’astrazione che rischia di compromettere l’intero servizio di assistenza. Anche per questa ragione, la struttura comprende dei dormitori per le famiglie – sia nella forma di una foresteria esterna, sia in quella di camere da letto interne alla stessa struttura – e degli spazi comuni – come la lavanderia e la cucina – che permettano di vivere nella casa, partecipando a varie attività.

Le famiglie, spesso, si trovavano in condizioni di fragilità già prima della nascita del proprio figlio o della propria figlia. Spesso, infatti, si tratta di persone immigrate che faticano a integrarsi nel territorio, senza una rete di relazioni sociali cui appoggiarsi, o il cui stesso nucleo presenta delle fragilità proprie. Famiglie che presentano quindi anche diversi orientamenti religiosi, che si traducono in particolari approcci alla malattia e al fine vita. Ciò richiede al personale della casa un continuo e impegnativo sforzo di mediazione e dialogo, dalle questioni più delicate a quelle di ordinaria amministrazione della vita quotidiana.

I dirigenti, gli operatori, i volontari entrano pensando di offrire aiuto e amore ai bambini con gravi fragilità, ma alla fine si accorgono che sono loro a venire investiti di un amore smisuratamente più grande. I bambini “ti sanno dare tutto quello che hanno”, racconta Sabino, referente per l’aspetto sanitario: “credo che siano loro, anche se non sanno camminare, a prenderti per mano, e a guidarti in queste piccole strade. Credo sia questa un po’ la contraddizione: che pensiamo sempre noi di accompagnarli, quando invece sono loro che accompagnano te”. E forse è proprio l’amore il “testimone” che i bambini lasciano non solo alle loro famiglie, ma a tutti coloro che vivono l’esperienza della Casa: un amore che spezza ogni simmetria, oltrepassando la logica del dare e dell’avere, e la cui dismisura è tale da sopravvivere persino alla morte.

I bambini rappresentano l’inaspettato che agisce continuamente soverchiando ogni logica predefinita e ricordando un movimento che nella società contemporanea, incentrata sul controllo mediante la razionalità e gli strumenti che il progresso scientifico e tecnologico mettono a disposizione, appare spesso dimenticato: un movimento che proviene da un “altro” che è tale non solo in rapporto all’io, ma all’umano in generale. Maria Luisa, la direttrice della Casa, lo esprime dicendo, con una certezza granitica che colpisce, che in Casa Amoris Laetitia ha “scoperto la Provvidenza. Nel senso che esiste e che lavora”. Questa ultima rivelazione riporta alla mente un libro di Peter Berger, in cui il sociologo descrive la società moderna secolarizzata come il luogo in cui i “segnali della trascendenza” si sono indeboliti e risultano quindi molto difficili da cogliere. Per esprimere questo concetto, Berger si avvale della immagine degli angeli le cui voci si sono ridotte a “brusii”.

Gli angeli sono figure “di confine”: vivono al limite tra terra e cielo, tra la vita quotidiana e ordinaria e una dimensione straordinaria che la supera. Si trovano alla frontiera tra queste due realtà, proprio come diversi bambini di Casa Amoris Laetitia non sembrano appartenere del tutto a questo mondo perché sono destinati a lasciarlo presto. Il segreto indicibile e inafferrabile della Casa, allora, forse è proprio questo: come suggerisce Maria Luisa che li conosce molto bene, i bambini sono “strumenti per qualcos’altro”.

Un altro aspetto della Casa che continua a sfidare ogni tentativo di tradurla in parole è dato dalla sua forma, somigliante alla “cattedrale di Gaudì”, così come la definisce Giuseppe, il Direttore della Fondazione Angelo Custode, intendendo con ciò “qualcosa che non si conclude”, impossibile da “costruire in astratto”. Un edificio che non esisterebbe se non ci si affidasse “a quello che accade”, avendo il coraggio di “giocarsi dentro una esperienza e viverla lungo il percorso” con “il senso della non definitività”, che significa anche accettare che quella realtà è più grande persino di sé stessi, che “verrà consegnata ad altri” dopo di sé.

Nella Casa si vive una esperienza della fragilità e del limite che trasforma profondamente chi la vive e si rivela generativa e vitale, senza per questo negare il dolore e la sofferenza che invece sono affrontati con estrema attenzione e delicatezza. Al centro di questa esperienza c’è la cura dell’altro, interpretata in un senso che deborda continuamente dalle concezioni tecniche strettamente legate all’ambito medico-sanitario e a quello assistenziale. Contro ogni aspettativa, i bambini non sono il punto di arrivo di questa cura, ma l’origine: la vitalità e l’amore che manifestano travolgono le persone che stanno loro vicine e rompono ogni simmetria, generando vita proprio là dove si fa esperienza diretta della morte, suscitando speranza e gioia condivisa quando la disperazione e un solitario ritiro dal mondo sembrerebbero l’unica opzione possibile. Proprio di fronte a una esperienza condivisa della fragilità e del limite, negli atti di cura e di amore che da essa si generano, la vita torna a essere un evento che sorprende e provoca, rivelando un messaggio quasi paradossale: il limite è ciò che rende liberi.

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