di Dario Nicoli
Chi ha spento la luce del governo Draghi? Ad ascoltare i diretti interessati, sembra che non sia stato nessuno e che, in ogni caso, nulla è cambiato. È una posizione curiosa, come se si volesse nascondere qualcosa di importante che non giova mostrare nella campagna elettorale. Ed in effetti questa conclusione anticipata della legislatura presenta un carattere assolutamente nuovo in quanto segna la fine del populismo così come l’avevamo conosciuto con la comparsa del movimento 5 Stelle e con l’exploit della Lega “nazionalista”. Le esperienze di governo che ne sono derivate avrebbero dovuto cambiare radicalmente la politica italiana avvicinando le istituzioni al popolo e risolvendo i problemi della nostra società, ma è stato davvero così? Oggi possiamo dire che il populismo ha prodotto leggi velleitarie come il reddito di cittadinanza, ha incrementato la spesa pubblica con quota 100 ed altre assistenze, e soprattutto ha mostrato una pericolosa confusione nelle relazioni internazionali con gli ambigui rapporti con due paesi imperialisti: la Russia che ha invaso l’Ucraina e la Cina che si appresta a fare lo stesso a Taiwan, ambedue destabilizzando in modo preoccupante il quadro geopolitico internazionale.
Nel breve volgere di qualche anno, il progetto populista si è rivelato un flop ed ha dovuto ripiegare su temi-bandiera come la battaglia dei due mandati parlamentari ed il blocco dei flussi immigratori, perdendo così il carattere di cambiamento radicale del sistema.
A rendere chiaro questo fallimento è stata soprattutto il confronto impietoso con l’esperienza del governo Draghi che si è mosso con un programma e soprattutto un’indole decisamente nuova se confrontate con le politiche tradizionali italiane e con quelle populiste. Va ricordato che Draghi da Presidente della BCE ha impresso una svolta radicale nella difesa dell’unità dell’Eurozona rendendo non conveniente la speculazione contro i paesi periferici come la Grecia e a quelli altamente indebitati come l’Italia. Non solo: con l’avvio del Quantitative Easing ha inaugurato un’inversione radicale delle politiche monetarie basate sul controllo dei bilanci, a favore di massicci interventi di sostegno alla crescita dei Paesi europei.
Da capo del governo ha puntato sul Next Generation UE per elaborare un piano decisamente ambizioso di rilancio dell’economia dell’Italia e di superamento dei suoi antichi limiti economici e sociali. Se poi aggiungiamo il ruolo di leader europeo sulla guerra in Ucraina, scopriamo che Draghi rappresenta la figura politica più rilevante degli ultimi decenni che ha saputo raccogliere intorno a sé un vasto consenso di associazioni, enti pubblici, imprenditori e sindacati come è stato dimostrato nei giorni precedenti alla caduta del governo.
I successi del governo con il PNRR, la conquista del prestigio internazionale per l’Italia e del ruolo di leadership in Europa, hanno però costituito agli occhi dei populisti la colpa inconfessata di Draghi che gli è costata la vendetta della mancata elezione a Presidente della Repubblica e successivamente la guida del governo dopo che con il discorso del 20 luglio ha rifiutato la proposta di un nuovo incarico imperniato su una voragine di prebende preelettorali.
Il populismo che avrebbe dovuto cambiare tutto si mostra impietosamente nella sua fase declinante, con programmi che, tra bonus e sconti fiscali, ricordano la peggiore esperienza dell’Italietta del centrosinistra, quella che ha prodotto il nostro spaventoso debito pubblico. Malauguratamente, anche Fratelli d’Italia propone una lunga lista di interventi che produrrebbero una spesa di 50 miliardi senza coperture, forse pensando di poter dirottare parte dei fondi europei nella direzione assistenzialista.
Due ci sembrano i quesiti sui quali si giocherà l’esito delle elezioni del 25 settembre: la maggioranza del popolo italiano saprà riconoscere la metamorfosi dei populisti che spacciano disegni di potere per interessi del Paese? vi sarà un’offerta elettorale nella quale emerga chiaramente un “programma Draghi”?
L’articolo mi piace moltissimo. Il punto è proprio vedere se ci sarà qualcuno in grado di rispondere alle istanze sociali e del lavoro senza scadere nell’assistenzialismo clientelare. Purtroppo temo che i centristi siano percepiti come beceri liberisti e il PD poco credibile dalle fasce più in difficoltà.
Spero di sbagliarmi.
Concordo con il contenuto. Il testo è chiarissimo e ancora più chiaro il posizionamento che mi sembra, oggi più che mai, necessario per chi crede nei valori democratici. Un’unica perplessità sul “declino del populismo”. Come Clelia, però, spero di sbagliarmi.
Molto preciso e con l’attenzione e lo sguardo giusto per seguire quello che accadrà in questo periodo
Sono d’accordo con Dario in merito alla sua analisi degli avvenimenti “Draghi si, Draghi no”che hanno portato alla fine della legislatura del Governo Draghi. Sono d’accordo con Bruno riguardo al fatto che il populismo sia in declino perché i toni populistici emergeranno sempre durante la campagna elettorale da parte dei partiti che per guadagnare consensi e voti colgono il disagio sociale e l’ insicurezza economica della popolazione, soprattutto quella giovanile. .E’ ciò che ha portato la destra francese ad emergere nelle ultime elezioni. Potrebbe succedere anche in Italia con risvolti nazi-nazionalistici. Un tuffo nel passato possibile che metterebbe la democrazia europea conquistata in pericolo e quindi difesa ad oltranza.
Grazie Dario per la sintesi accurata e puntuale. Anch’io non sono tanto d’accordo che il
populismo sia morente (magari!). Non penso neanche che assumerà altre sembianze o metamorfosi ! Sarà quello di sempre perché é incarnato nella società stessa, nel costume, nel linguaggio. Tuttavia, qualche volta “il popolo italiano” si é mostrato più serio e lungimirante di chi lo rappresenta! Spero che sia anche stavolta !
Convengo con le vostre riflessioni. La mia percezione è che ci sono molti problemi da affrontare e poche strade da intraprendere per risolverli. Strade impopolari che richiedono l’assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Non credo che chi vincerà le elezioni potrà dare seguito a sterili programmi assistenzialistici senza provocare ulteriori crisi economiche e sociali.
Ma i partiti populisti e popolari sono pronti ad assumersi l’onere di guidare un paese nella tempesta? Quando non bastano gli stipendi per fare la spesa e pagare le bollette quale favola dell’incompetenza potrà sopravvivere?