di Dario Nicoli
L’invasione dell’Ucraina – che speriamo si concluda presto con un accordo che consenta al mondo libero di mettere mano alla ricostruzione e che serva ai russi per coprire la loro ritirata – ha colpito come un pugno nello stomaco l’Occidente scuotendolo dal suo stato di torpore che è soprattutto morale e culturale, prima che politico e militare. Quella stessa sonnolenza che Putin e la sua cricca hanno scambiato per arrendevolezza convincendoli di poter aggredire impunemente il paese vicino per inglobarlo nel proprio impero.
Il merito involontario di Putin e della sua cricca consiste nell’aver mostrato l’orrore verso cui sono fatalmente attratti i regimi illiberali ed autocratici e, provocando la reazione dell’Occidente, nell’avere svelato a tutto il mondo la superiorità della democrazia. Ma quest’ultima è a sua volta attaccata da un triplice virus che ne corrode l’anima dall’interno:
- tramite la vita superficiale e frettolosa che ha snaturato il popolo delle democrazie del benessere, dove ogni individuo, senza comunità né patria, libero da legami e da responsabilità, è perennemente alla ricerca della propria autorealizzazione individuale, compulsivamente attaccato ai beni materiali ed alle esperienze soggettive come se fosse sicuro di non morire. Egli è intimamente convinto di essere libero, ma guardando bene si scopre che in ogni parte del mondo occidentale si ritrovano le stesse maniere di agire, di pensare e di sentire, ma anche gli stessi stili architettonici: è così che la diversità scompare e con essa viene meno la ricchezza delle specie umana.
- a causa del cosmopolitismo e la vita nomade delle élite, sempre più ricche e sprezzanti verso il popolo che vive e lavora su un territorio, oltre che sempre più concentrate nel cogliere le opportunità di successo nel mondo globalizzato, e quindi incapaci di avvertire la propria responsabilità nei confronti degli altri e della propria patria. Ma anche a causa della deriva del ceto intellettuale che, disinteressato alle questioni della giustizia sociale e della qualità della vita comune, e sempre più attratto dalla retorica del genere e dell’appartenenza etnica, indebolisce la democrazia negando la possibilità di ambienti di “vita civica” in cui la gente possa incontrarsi, discutere, cooperare su un piano umano, senza barriere di razza, di classe o di nazionalità.
- come conseguenza dell’eccesso di specialismo e di professionismo, ovvero visioni parziali sulla realtà, veri e propri paraocchi con cui si pretende di riportare la complessità del reale e della storia ad un unico fattore: l’economia, la tecnologia, la comunicazione… Ne è un esempio lampante la reazione di molti osservatori che hanno visto nella guerra solo un fattore di destabilizzazione dei mercati, e che hanno criticato le sanzioni dell’Occidente in quanto avrebbero potuto provocare costi economici nei propri contesti. Non capendo che la minaccia dei paesi illiberali ed autocratici è potenzialmente letale per l’intera economia in quanto sovvertitrice delle istituzioni che ne garantiscono il corretto funzionamento.
L’Occidente deve porre mano ad una seria campagna culturale contro lo stile di vita vacuo di chi non ha un’opinione e si dedica alla ricerca esclusiva dello “star bene” con se stesso, contro il cosmopolitismo di élite senza radici né responsabilità, infine contro professionisti a cui i propri pensieri troppo analitici e ristretti impediscono di giudicare correttamente il momento drammatico che stiamo vivendo. Il sacrificio del popolo Ucraino ci sprona tutti a riconoscere i il bene della democrazia, ma anche la sua fragilità. Auguriamoci che un po’ del grande coraggio che sta dimostrando ci dia la forza di rimuovere i nostri vizi e sentire un po’ di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno contribuito con immani sacrifici ad edificare la nostra democrazia, e ritrovare un po’ del senso dell’onore proprio di chi ne comprende il valore.
Condivido la necessità di partire dalla fragilità su tutti i piani, per riscoprire il “bene comune” attraverso “universi di senso”. La via della “fratellanza culturale” è la condizione per una “fratellanza spirituale”, lastricata di “virtù, cura e conoscenza”.
Credo che l’immaginativo poetico possa costituire un viatico evocativo, per allargare orizzonti di senso, coltivando gli spazi della mente e gli aneliti dell’anima.
Su questa linea il “bene” della democrazia deve saper trovare nella tensione della “timocrazia” il suo correttivo, in quest’epoca della fine delle ideologie e con essa del superamento dei partiti, per coniugare etica, formazione e politica.
Da una umanità dedita al dedicarsi agli altri e perseguire giustizia, equità e felicità devono poter derivare le linee giuridiche ed economiche, per lo sviluppo di una “coscienza planetaria”.
Gaetano Mollo