L’inchiesta, svolta egregiamente, mostra come la comunità locale possa credibilmente rappresentare uno dei pochi fattori di ripresa della cultura democratica la dove, soprattutto nelle periferie, altre forme di democrazia hanno clamorosamente fallito. Riccardo Iacona ci conduce, con la sua “Presadiretta”, attraverso una molteplicità di esperienze a dir poco emozionanti caratterizzate da un evidente, sorprendente “comune denominatore”: proprio l’assenza dello Stato può costituire l’occasione di una scoperta, di un percorso educativo implicito che nasce spontaneamente dal basso. Sono i “cittadini alla riscossa” che riappropriandosi della soluzione dei loro problemi riscoprono dentro di sè l’orgoglio della propria autonomia, il sentimento di un’appartenenza che nasce dal prendersi cura, da un sentirsi responsabili che trasforma i diritti in doveri morali, la rivendicazione del diritto al parco pulito dagli operatori ecologici del Comune al “diritto di raccogliere di propria iniziativa i rifiuti dispersi nel parco”.
Il servizio mostra un’unica pecca. Si tratta però di uno di quegli “errori utili” che, alla maniera dei lapsus freudiani, dovrebbero mostrare all’analista, la strada di una corretta diagnosi e di una giusta terapia. Quando dall’esperienza si passa alla sua elaborazione concettuale, il termine “democrazia partecipata” sembra tradursi in nient’altro che un caso particolare di “democrazia diretta” facendo riemergere così l’”inconscio statalista – centralista” dei redattori portati perciò, al di là delle lodi di facciata, a considerare, in fin dei conti, marginali le stesse storie che hanno raccontato. E’ infatti evidente che democrazia partecipata e diretta sono forme del tutto diverse e concettualmente indipendenti. Al riguardo basti pensare al fatto che la prima è inconcepibile senza un forte decentramento e forti autonomie locali, mentre la seconda non lo è affatto.