di Dario Nicoli
Queste elezioni hanno inaugurato una nuova fase della politica nazionale che va oltre gli schemi dualistici dei tempi dell’ideologia (decolorata a destra, ma che non esiste più nemmeno a sinistra). Per tentare di comprenderla, proviamo a porci tre domande e cerchiamo di trovare risposte ragionevoli.
In cosa si caratterizzano queste elezioni rispetto al passato? sono solo la replica del già noto oppure vanno aggiornate le chiavi di lettura?
Le ultime consultazioni segnano la fine della stagione politica del populismo, quella in cui si vincono le elezioni con un programma “onirico”, ma si governa con un altro che tiene conto dei limiti della realtà, sconcertando però i propri elettori. Fratelli d’Italia, e la sua leader, sono stati preferiti perché hanno offerto l’immagine di una forza tranquilla, concreta, senza colpi di testa. Il suo principale contendente, il PD, oltre ad aver sbagliato completamente la tattica (il nuovo sistema elettorale premia le coalizioni anche se contraddittorie, dopo si vedrà), non ha saputo offrire queste condizioni perché portatore di un intellettualismo politicamente corretto e di una tendenza “pedagogica” nei confronti del popolo. La fine del populismo emerge dal declino delle due forze che l’hanno incarnato: la Lega è bloccata da un leader rozzo e ripetitivo che non sa capire il tempo nuovo, mentre i 5stelle sono scaduti a nuova DC versione meridionale, diventando un partito assistenzialistico del Sud, senza alcun orizzonte strategico. La quarta forza di Calenda e Renzi è in una fase di apprendistato: occorre tempo per capire cosa è e come intende muoversi nel nuovo scenario.
Quali sono gli intenti di Fratelli d’Italia? quali gli adattamenti necessari a realizzarli?
Mentre il PD è entrato nella sua solita fase psicoanalitica di “attenta lettura dei risultati elettorali” e di totosegretario da cui riemergerà dopo il disgelo, Fratelli d’Italia intende aprire un ciclo politico nuovo e quindi accreditarsi come partito rasserenante, attento solo agli interessi del Paese. Giorgia Meloni vuole con tutte le forze accreditarsi come premier capace di rassicurare i tre soggetti decisivi: i mercati, i partner europei e gli USA. Per fare questo deve scontentare sia i nostalgici missini che ne costituiscono il nucleo militante sia la destra europea impresentabile che la considerano “sorella” della loro folle strategia. Inoltre deve rinviare a tempi migliori (siamo in un’economia segnata dalla guerra energetica) i tre punti qualificanti del suo programma: le costose riforme scritte nel programma della coalizione tra cui svetta la flat tax, il presidenzialismo e la presa di distanza dall’Unione europea. Ciò richiede di disciplinare i suoi (non si tratta più di “sparate” di partito, ma di segnali di un governo) e di tenere a bada Salvini che già sta iniziando la solita opera di logoramento e di distanziamento, l’unica cosa che sa fare. Tutte cose che richiedono autorità oltre ad una macchina perfetta, ma su una strada dissestata e piena di trappole.
Quali imprevisti possono far saltare il tavolo da gioco? e quali avvenimenti fortunati possono favorirlo?
Sono tanti gli scenari sfavorevoli che possono far cadere il governo Meloni. Sul piano internazionale l’aggravamento della crisi bellica che imporrà di allontanare la Lega di Salvini in quanto filo putiniano e di imbarcare forze politiche oggi all’opposizione, e l’involuzione del ciclo economico globale che farà crescere il malcontento della popolazione senza più margini di bilancio per interventi di “sollievo”; ma anche qualche presa di posizione “scomposta” della stessa premier o di qualcuno dello schieramento governativo che susciti reazioni preoccupate tra i tre soggetti decisivi per la sua reputazione. Sul piano interno possono essere deleteri la conflittualità con la Lega derivante dalla divergenza identitaria sovranismo/autonomismo, a cui va aggiunta la possibile reazione degli alleati, ma anche dei nostalgici missini, ad un profilo troppo governativo e filoeuropeo adottato dal nuovo governo.
Invece, gli avvenimenti fortunati si concentrano su uno solo, ma di grande rilevanza: la fine dell’invasione russa in Ucraina con la destituzione di Putin da parte di una nuova leadership che si impegni ad un patto di convivenza cooperativa con l’Occidente. Si chiuderebbe così la pagina tragica della guerra, l’Unione europea ne uscirebbe con un ruolo di prestigio, si aprirebbe il grande cantiere della ricostruzione in Ucraina.
Il nuovo governo potrà ridurre i rischi e ampliare i vantaggi della buona notizia sulla guerra, se saprà adottare lo stile della solidarietà nazionale sui temi che riguardano l’assetto della Repubblica, i rapporti con l’Europa ed i diritti / doveri dei cittadini.
L’articolo fotografa bene la situazione attuale che vede al centro, a pieno titolo, in quanto vincitrice delle elezioni, la figura di Giorgia Meloni le cui opportunità e relativi rischi sono indicati da Dario in maniera esaustiva. Personalmente rimango scettico sulla sua capacità di prendere le distanze in modo convincente dal suo recentissimo passato populista e sovranista. La mia perplessità, tuttavia, ha ben poco valore. Le elezioni sono acqua passata ed ora si tratta di vedere quali saranno le prossime mosse della nostra premier in pectore. Certamente, nel medio periodo, non l’aiuterà il fatto di essere segretaria di un partito che, forse più di ogni altro (PD a parte), ha mantenuto una discreta struttura “tradizionale e territoriale” in assenza della quale, gli altri partiti, decisamente più personalisti, possono permettersi repentini cambiamenti dell’indirizzo politico.
Nell’immediato penso che prevarranno le questioni economiche rispetto alle quali, il futuro Governo non avrà grandi margini di cambiamento rispetto al precedente. Nel medio periodo, però, l’eventuale originalità della nuova compagine tenderà a manifestarsi sui temi dell’Europa, dei diritti civili, dell’ambite, della giustizia ecc. dove grandi mutamenti si possono introdurre, in molti casi, anche con risorse assai scarse. In questo contesto la Lega (non quella di Salvini), proprio a seguito della pesante sconfitta elettorale, potrebbe emergere come fattore di instabilità, ma anche come unico partito capace di riportare al centro della scena politica il grande tema dell’autonomia e della responsabilità nell’eventuale contesto di una riforma dello stato democratico in chiave presidenzialista. Vedremo!!