breve introduzione di Bruno Perazzolo
Viviamo un’epoca di fragilità, caratterizzata da una crisi culturale profonda che potrebbe comportare la perdita di ciò che abbiamo di più caro. Potrebbe, però, anche irrobustirci poichè sappiamo che le crisi rappresentano sempre anche un’opportunità. “Ciò che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao Tse). La crisi porta sempre con sè un nuovo inizio e spesso, in buona parte, dipende da noi “esserci o no”. “Una crisi ci costringe a tornare alle domande fondamentali; esige da noi risposte nuove o vecchie, purchè siano scaturite da un esame diretto, e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravandola e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce” (H. Arendt).
Nel suo libro, Raghuram Rajan, ci porta al cospetto di almeno uno di questi interrogativi essenziali. Già questo sarebbe un grande merito del testo poiché, nel caos che ogni cambio d’epoca comporta, non è facile orientarsi individuando le poche pietre miliari da seguire per uscire arricchiti dalla tempesta. Il tema che ci propone di scandagliare è quello del rapporto tra Mercato, Comunità e Stato. Una questione profonda, sicuramente alla base di almeno una delle maggiori discipline moderne, la sociologia, a partire dagli studi di Tonnies e Durkheim per arrivare alle recenti, e probabilmente più famose, ricerche di Bauman. A questo argomento delle relazioni tra Stato, Comunità, Mercato Rajan non ritorna, però, in modo accademico. Egli pone la questione al centro delle attuali sfide della Democrazia e dello sviluppo multiforme del “Populismo illiberale”, individuando nell’indebolimento della Comunità, la gamba malata di un ordine che dovrebbe essere tripartito e che, invece, per più di un secolo, soprattutto con lo sviluppo dello Stato Sociale (Welfare State), ha inteso la dimensione comunitaria – il terzo pilastro – come una sorta di obsoleta “sopravvivenza del passato” limitativa dell’autonomia dell’individuo. I risultati di questo “parossismo” narcisistica sono sotto gli occhi di tutti. Anche di chi si lamenta dell’egoismo crescente del prossimo continuando poi – magari in buona fede – a portare acqua al suo mulino.