di Bruno Perazzolo
La storia è sempre la stessa: un Ente pubblico (l’Ente Parco del Ticino, che festeggia, quest’anno, i 50 anni), Associazioni di Volontari (Ticino Guide, Varese Bike Guide), alcune persone dotate di una particolare passione e carisma ed altre desiderose di “emozioni forti, virtuose e durevoli” ed ecco la miscela utile a fare riaffiorare, nella coscienza collettiva, il sentimento del bello che incanta, ovvero dei beni che ci avvicinano alle “cose divine” e al rispetto che esse suscitano in coloro che sentono, misteriosamente, di corrispondervi. Oramai sono più di una decina i giri che, con amici e guide esperte, ho fatto in mountain bike, e, sempre di più, mi vien da pensare che non di un parco si tratta, ma di un autentico museo all’aperto, frutto di grandi narrazioni che iniziano nel ‘600 a.C. sino a lambire il nostro secolo. Inizia, questa storia che ha del miracoloso, con i Celti, prosegue con i romani, per trovare il proprio apice tra il 1200 e il 1936 circa. I primi, i Celti, figli di una religiosità cosmica custode gelosa di un patrimonio naturale risalente, addirittura, alla “piccola glaciazione” di Wurm (100.000 anni a.C.), vengono sopraffatti dai “costruttori romani”, portatori di una civiltà urbana dei grandi templi e di divinità solari. Alla successiva crisi dell’Impero d’Occidente, subentra il Cristianesimo, soprattutto quello di ispirazione benedettina: “ora et labora et lege”: l’idea di una città celeste da realizzare, per mezzo della disciplina, dello studio e del lavoro, anche in questo mondo. Da qui, intorno al 1100 d.C., le prime, grandi bonifiche incentrate sulle cascine e su potenti abbazie e monasteri (Morimondo, Bernate Ticino ecc.). Poi, dal 1200, i navigli e i borghi che recano ampie tracce delle famiglie signorili rinascimentali (dal ‘400 a fine ‘600) ispirate dall’arte e da una razionalità che non ha ancora abbandonato la fede che, in primo luogo, significa fiducia nella grandezza dei propri fondamenti. Infine, la rivoluzione agricola e industriale, segnate da due opere mastodontiche quali il Canale Villoresi e il Canale Industriale.
Potrebbero sembrare, queste mie poche righe, frutto di un “eccesso di fantasia”. Se, però, si gira a sufficienza nel parco, non si può non vedere, in esso, il frutto di grandi visioni: opere secolari che, ancora oggi, sono lì a mostrare la potenza del disegno organico che le ha ispirate. Opere che ancora, dopo mezzo millennio, sono lì, tuttora funzionanti, a sostenere un territorio meraviglioso, frutto di una sintesi tra natura e cultura invidiabile della quale siamo, “volenti o nolenti” eredi. Noi, nani, sulle spalle di giganti. Una sintesi della quale, in assenza di una narrazione contemporanea, tutti i visitatori attenti del parco, non possono non provare nostalgia quando capita loro di “toccare con mano” gli effetti nefasti di una tale mancanza, ovvero il prevalere dei “meschini interessi di bottega” sui beni comuni che stanno alla base della nostra civiltà. Un esempio per tutti: il progetto che prevede la costruzione di nuovi hangar dell’aeroporto di Malpensa togliendo, al Parco del Ticino l’unica brughiera a sud delle alpi: la brughiera del Gaggio.
Grazie Bruno. Ci solleciti a guardare ogni nostro territorio come incontro tra la bellezza del creato e le grandi visioni che hanno contraddistinto la storia della civiltà a cui apparteniamo.