di Luca Cadili
Le reincarnazioni del Buddha che precedettero il momento in cui egli assunse le sembianze che tutti noi gli conosciamo sono narrate nei Jātaka, i racconti delle vite di questo venerabile personaggio. Raccolti per la prima volta nel V secolo, furono messi per iscritto in un’antica lingua indiana, il pāli. Il Buddha è spesso il protagonista delle storie che lo riguardano; altre volte ne è solo il narratore o vi compare come semplice testimone. Ma, talora, queste narrazioni contengono anche delle favole: quanto segue è appunto il resoconto di una di esse.
Un re, considerando un giorno le sue ricchezze e la sua grandezza, le volle paragonare a quelle degli altri sovrani che abitavano il suo grande paese. Con suo disappunto però dovette riconoscere che tutti loro gli erano pari. Allontanatosi dalla reggia per una passeggiata si fermò ad osservarla e così pensò: «Il mio palazzo è davvero identico a quello degli altri sovrani, e identici sono anche i loro maestosi pilastri». Ma, all’improvviso, osservò una cosa alla quale non aveva mai badato prima: «Tutte le regge che si conoscono, la mia e quelle in cui dimorano tutti gli altri sovrani, hanno necessità di più di un sostegno su cui reggersi. Ecco cosa farò: costruirò un magnifico palazzo ed esso si appoggerà su un solo pilastro». Chiamò allora il capitano e i suoi soldati: «Andate subito nel bosco», disse loro, «e cercate un albero che possa da solo sopportare il peso di un’intera reggia». Il capitano e i suoi soldati partirono immediatamente; entrarono nella foresta e si misero alla ricerca di ciò che il re aveva domandato loro. Dopo aver vagato a lungo, finalmente lo trovarono: era un albero quale mai se ne erano visti prima: ci sarebbero volute le braccia di ottanta uomini per cingerlo e non si riusciva a vederne la cima. Il capitano però scuoteva la testa e così pensava: «Se anche riuscissimo ad abbattere quest’albero chi mai lo potrebbe trascinare fino al cospetto del re? Fitta è la foresta e le piante vi crescono disegnando un infinito labirinto». Richiamò dunque i soldati e sconsolato comparve davanti al suo sovrano per aprirgli i suoi pensieri. Il re tuttavia non si arrabbiò; si rigirò sul suo trono e disse: «Il tuo racconto mi ha fatto tornare alla memoria un ricordo: mio nonno, il grande re, un giorno mi disse che anche nel nostro parco c’è un albero simile, forse più maestoso ancora di quello che ora mi hai descritto. Va’, trovalo e riferiscimi». Il capitano scoprì l’albero proprio dove gli era stato indicato: era davvero più grande e bello di quello che aveva visto nella foresta. Ritornò dal re, ma a malincuore: «È peccato tagliare un simile albero», così meditava nel suo cuore, «dicono infatti che un dio abiti là dentro». Ma questo non lo disse al suo sovrano perché ne aveva paura. Gli disse solo: «Concedimi qualche giorno e l’albero ti sarà portato come desideri».
Quella stessa notte, in sogno, apparve al re lo Spirito dell’albero. Il re non si stupì di questa visione: nella sua terra molte meraviglie erano già accadute e accadono ancora. «Che cosa vuoi?», disse il re che, indovinando la richiesta dello Spirito, era più che mai deciso a non recedere dal suo proposito di tagliare l’albero. Ma così allora disse lo Spirito: «O mio sovrano non sono qui per chiederti di non abbattere il mio albero: tu sei un re ancora troppo giovane per indovinare la verità. Questo ti domando solo: non tagliarmi alle radici perché, precipitando, non uccida i miei figli che, giorno dopo giorno, crescono intorno a me; tagliami invece un piccolo pezzo dopo l’altro, a partire dalla cima: così risparmierai loro la vita». Dopo aver detto questo, lo Spirito scomparve. Il re rimase molto meravigliato ma non, come si è detto, a causa del prodigio a cui aveva appena assistito: era meravigliato perché non capiva perché mai un albero così grande e così alto da sfidare il cielo e le stelle preferisse essere fatto lentamente in piccoli pezzi, sottoponendosi cosi ad un’agonia interminabile, purché si risparmiassero i suoi figli. Decise allora di non tagliare l’albero e meditò a lungo sulle parole dello Spirito. Ora davanti a quell’albero è sempre acceso un lume perché anche i figli della notte lo possano visitare e onorare.
Quel re non era saggio: lo è diventato: lo è diventato perché ha saputo ascoltare e convincersi delle parole di chi era infinitamente più saggio di lui. Diventiamo saggi anche noi, non solo per gli alberi che cadono nella foresta amazzonica, ma soprattutto per quelli che vicino a noi vengono sacrificati, un giorno dopo l’altro, nei parchi, lungo le strade, davanti a edifici, nei parcheggi e sulle rive dei laghi e dei fiumi. Qual è la verità a cui alludeva lo Spirito parlando a quel re? Quel re era troppo giovane per capire che quello che abbiamo non è nostro. Ma c’è anche un’altra verità, una di quelle verità che non vogliamo mai contemplare: lo Spirito dell’albero è stato comprensivo e ha voluto sopportare l’ignoranza e la superbia di un uomo; ma avrebbe potuto fare anche altrimenti. Chi nutre l’uomo non sarà sempre disposto a tollerare la sua ingratitudine.
Bellissimo! Sottolineo le seguenti parole “Quel re non era saggio: lo è diventato: lo è diventato perché ha saputo ascoltare e convincersi delle parole di chi era infinitamente più saggio di lui”. E’ questa capacità che gli uomini hanno quando sanno ascoltare “con animo puro” quel che gli accade intorno, negli altri e nel mondo che li circonda. Quando sanno ascoltare il DIVINO. Da qui, forse, quel che si legge in Mt 11,25-27 “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Intendo questo brano, tratto dal Vangelo di Matteo, come volto a significare la piena apertura al reale che spesso, dotti e sapienti (l’accademia, l’establishment, i potenti della terra ecc.) , non hanno proprio perchè eccessivamente prigionieri del loro EGO e/o della visione del mondo a questi collegata.