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Prendendo spunto dall’articolo di Dario Nicoli “Lusso per l’anima: uno slogan orrendo che rivela il conflitto tra autentico e strumentale” un’ulteriore riflessione sul rapporto tra lusso, anima e festa.
Al solito, l’articolo di Dario stimola toccando temi fondamentali. Siamo alla vigilia del Natale, è nulla risulta più opportuno di questa riflessione sul rapporto tra ciò che è autentico e ciò che è strumentale, tra ciò che è superfluo e ciò che è necessario, tra il lusso e l’anima. In particolare, l’articolo di Dario esprime molto bene, credo, un sentimento diffuso, un “indefinito disagio”, per non dire “una sorta di tradimento” che, più o meno, tutti avvertiamo “appena al di sotto della nostra coscienza”. Un disagio che, in genere, tendiamo presto a rimuovere, per non restarne paralizzati, incapaci di proseguire una corsa affannosa che, in coscienza, sappiamo che non porterà da nessuna parte. Per la maggior parte di noi, infatti, il lusso è divenuto una sorta di “consumo compulsivo”, frutto di una propaganda spietata che ci insegue ovunque appena si apre lo Smartphone, si accende la televisione, si gironzola per le strade di una città. Siamo costantemente investiti da uno “tsunami di pubblicità” che disorienta, distrae, depista facendo perdere il senso di quello che stiamo facendo. Uno tsunami che ci sollecita a riempire di merci un vuoto incolmabile. Il Natale rende particolarmente evidente tutto questo nella misura in cui una marea di acquisti, di promozioni, di Black Friday, di luci dei Centri Commerciali riescono a catturare l’attenzione delle persone oscurando il senso della festa. In altre parole, si può ben dire che, proprio in questo periodo dell’anno, abbiamo l’evidenza di come il lusso possa uccidere l’anima.
Ho però la sensazione che non sia sempre stato così. Mi pare, persino, che questa nostra esperienza, senz’altro rispondente a verità, si possa ricondurre ad un’epoca, quella borghese, tutto sommato abbastanza limitata nel tempo e nello spazio. Nel complesso la storia della nostra specie ha conosciuto ben altro. Tempi e luoghi in cui lusso (intendendo con lusso i beni e i servizi che gli economisti considerano secondari o voluttuari), anima e festa non erano e non sono affatto in contraddizione, ma si sostenevano e si sostengono a vicenda. Luoghi e tempi nei quali la festa era e resta ancora un rito e il rito era e resta ancora un’esplosione di costumi, di colori, una sovrabbondanza di cibo e di azione collettiva, di musiche e di danze, finalizzata a riportare l’uomo, inteso come parte di una comunità, al mito originario, ai suoi antenati, “in illo tempore” divino, ideale e puro.
Sarà forse per questo che molte persone, soprattutto quelle più sole, dicono di “odiare il Natale e tutte le feste in generale”. Accade infatti, in questi momenti, che uno si senta ancora più solo del solito, ancora più “mancante” di qualcosa di essenziale, dell’anima per l’appunto. Una mancanza che cerca di colmare uscendo per fare acquisti.
Esatto. È finita l’era di quella che da noi è stata chiamata la “dolce vita” o “la Milano da bere”. Ci è rimasta la rabbia e la solitudine. Si sono riaperti i conflitti storici tra metropoli e periferie, élite e massa, globale e locale. Regno Unito, Usa, Francia e Germania sono i paesi che più ne risentono. Noi un po’ meno perché siamo un popolo accomodante. Manca però una prospettiva forte che unisca le tre esigenze più impellenti di questo passaggio storico: protezione (sociale ma anche dell’anima), comunità e sostenibilità.
sottoscrivo tutto. Grazie del commento.
Letto….
Infatti quando si parla con persone anziane c è una vena di malinconia e nostalgia per i Natali passati. Non c era il lusso ma c era la felicità e allegria voglia di stare insieme. Non si sentivano mai soli.
Lucia Maruti scrive spesso di questo.
bisognerebbe invitare Lucia a scrivere su Pensarbene allora. Grazie del commento