di Dario Nicoli
«Finché quella donna del Rijksmuseum
Wisława Szymborska
nel silenzio dipinto e in raccoglimento,
giorno dopo giorno versa il latte
dalla brocca nella scodella,
il mondo non merita
la fine del mondo»
Che cosa succede quando un popolo intero pensa male? Quando siamo tutti assorbiti dal clima di critica e di rabbia che si respira in giro? Succede che questo popolo è sintonizzato su ciò che non va, che vive come se all’improvviso dovesse capitare un disastro. Ciò alimenta uno stato d’animo di sospetto e di amarezza, rende inerti le forze positive provocando un atteggiamento di difesa piuttosto che di impegno per il miglioramento delle cose. Fate una prova: sostenere qualcosa di positivo sui social, per esempio che la povertà estrema nel mondo è in continuo calo dal 1820 agli anni più recenti[1]: verrete subito attaccati da una torma di militanti del “pensar male”.
È una questione di salute psichica che trae origine da un clima culturale intriso di pessimismo, ma è anche una questione politica, in quanto un popolo che pensa male è un popolo infelice, chiuso in se stesso, sfiduciato, depresso e rabbioso. È possibile una società in cui poter vivere felici, non come quando tutte le cose ci vanno bene, ma dove sentiamo di vivere in comune, in cui si è accettati e ricevuti, ottenendo quella protezione – specialmente la speranza e la fiducia nel futuro – che ci permette di assumere i compiti concreti a cui siamo chiamati?
La posizione del disincanto è inumana perché non soddisfa le esigenze profonde dell’anima, quelle che fanno dire al filosofo ambientalista Derrick Jensen che «noi abbiamo un bisogno di incanto che è profondo e sacro quanto il nostro bisogno di cibo e di acqua» ed al poeta Pablo Neruda che «Ognuno ha una favola dentro che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti».
Solo una consapevole esperienza di incanto restituisce serenità e amore per la vita e mette in moto le forze buone dei singoli e della società.
È il momento di fornire il nostro contributo nel contrasto allo smarrimento esistenziale provocato dalla sfiducia che ha inaridito le fonti della gioia per la vita. Per questo proponiamo una sezione dedicata alle “storie d’incanto” per combattere il pensar male, a nostro parere la più grave malattia che imperversa nel nostro tempo.
Sono storie che ci aiutano a cogliere le perle sparse nel mondo. Racconti che, partendo da una pratica di vita concreta in cui sentiamo di esistere davvero, suscitano un’apertura verso in tutto e ci donano un senso di giubilo per il cosmo e per la vita.
Le storie d’incanto manifestano la profondità nascosta di ciò che ci parla: il cielo e la terra, ciò che è sempre presente come mistero delle cose e della vita.
L’esistenza umana può sussistere solo grazie a un sapere nascosto, un bene sempre misterioso nella sua presenza indispensabile, pur accompagnato da un’ombra altrettanto misteriosamente ambigua.
Le storie d’incanto ci aiutano a capire meglio il nostro compito: Pensarbene significa porre il pensiero in sintonia con l’intuizione originaria della vita. Di una vita vissuta come esistenza in totalità caratterizzata dal radicamento, l’avvicinamento, il rinnovo dei legami di protezione.
[1] Vedi il grafico del sito web ourworldindata.org (ricercatori dell’Università di Oxford): https://ourworldindata.org/grapher/share-of-population-in-extreme-poverty?tab=chart&country=~OWID_WRL
Ottima idea. Spero sia un modo per combattere il cinismo, alimentato da una popolazione sempre più vecchia e frustrata dalla mancata realizzazione dei propri sogni individuali ma soprattutto collettivi, ridando dignità all’essere invece che all’ avere, al gioire invece che al fare.
Bellissima idea. Ora resta da meditare per individuare quali volte ho vissuto degli incanti senza accorgermene.
Sara, appena avrai trovato una storia di incanto che ti ha colpita, sarebbe bello che ne scrivessi su questa rubrica. Le parole rendono reale ciò che la cappa di negatività cancella
Rispondo all’invito di Dario di descrivere una storia d’incanto vissuta per combattere il “Pensar Male” di fronte alle tante guerre e conflitti che attualmente stanno stravolgendo il nostro “povero” ma ricco pianeta di magnifici paesaggi mozzafiato, che, a vederli, anche solo in fotografia o nei documentari, sono l’antidoto contro il pessimismo ed il Pensar male perché la natura sa vendicarsi ma anche rinnovarsi.
Una sensazione d’incanto la provai anni fa ammirando, in un documentario, l’aurora boreale, di cui avevo sentito parlare immaginando un sensazionale tramonto dal colore rosso fiammante tra pennellate di nubi grigiastro, ma, tutt’altro! Fui estasiata dal vedere un turbinio di colori viola, verde, rosa, giallo, rosso, mescolarsi e volteggiare nel cielo. Un fenomeno straordinario ed incantevole della natura che, al vederlo, mi provocò una forte emozione, batticuore e la piloerezione delle mie braccia. Pensai: “come può l’uomo distruggere l’ambiente bombardando e distruggendo un meraviglioso mondo, anni di storia e di cultura!” Di fronte alle tante tristi e devastanti immagini della guerra, rivolgo il mio pensiero a quella aurora boreale che fa prevalere, al pessimismo, il mio sentimento di ottimismo e la mia inesauribile speranza che il Pensar Male degli uomini accecati dal potere e dalla forza distruttrice, si trasformi in rimorso, in pentimento, in desiderio di rimediare ai propri errori pronunciando la parola PACE.
Di altra natura, ma di intenso incanto, emozione, gioia e tenerezza fu quando mi misero tra le braccia mia figlia, e due anni dopo, mio figlio che diedi alla luce (che bella definizione opposta al buio delle tenebre!), senza sapere, prima dei due parti cesarei, il loro sesso, e quale sarebbe stato l’esito dell’intervento chirurgico dal momento che mi fu consigliata una cura sanitaria per far fronte alla mia prima gravidanza.
Tanti anni dopo, rivissi le stesse sensazioni quando vidi mia figlia stringere tra le braccia la prima e, successivamente, la secondogenita.
Cara Lucia, che pensieri incantati e reali! Che grande cosa “dare alla luce” una nuova vita, e quanto può insegnare alle donne di oggi la parola “travaglio” (non il giornalista…)!