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Dario Nicoli

In un recente articolo sul Journal du dimanche la filosofa francese Chantal Delsol afferma una verità indiscutibile: la società dell’individualismo non è comparsa all’improvviso da un retaggio patriarcale, ma è avvenuta come diffusione di una prerogativa esclusivamente maschile: l’uomo pensava a se stesso (ma anche alla vita sociale e politica) mentre la donna si occupava dei familiari. La novità consiste quindi nell’estensione dell’individualismo alle donne, convinte che “essere egoisti come un uomo deve essere bello: perché noi non possiamo?”. La nostra è quindi una società dell’individualismo reso democratico.

Si è diffusa la famiglia monoparentale con mamme che si occupano da sole dei propri figli, ma senza padre, di cui magari si sta prendendo cura un’altra donna. Ma non si è neppure realizzata l’estinzione della famiglia, secondo le previsioni degli anni in cui stava accadendo la rivoluzione dei costumi. Si è manifestata piuttosto una grande variabilità di “famiglie”: tra conviventi, con varie combinazioni di generi, tra divorziati, allargate, sposate… Unioni certamente instabili, sempre sull’orlo della separazione, ma che comunque confermano ciò che per i censori del linguaggio non si può dire: la persistenza della famiglia, confermata anche dalla sua sorprendente capacità di adattamento alla società dell’individualismo. Vuol dire che questa forma di vita è un fattore connaturato all’essere umano. Che quindi non è costituito solo di cultura, e neppure che il suo essere sia definibile solo con l’espressione labile di “condizione”, come scriveva Hannah Arendt, ma è costituito da una natura forte, confermate dalla persistenza di alcuni fattori antropologici: la tendenza ad unirsi tra persone con reciproci sentimenti d’amore o che condividono lo stesso modo di vita, la cura per la casa e per il luogo in cui si vive, il prestare aiuto a persone in difficoltà, l’attitudine a creare istituzioni. Ma anche la ricerca del senso delle cose, la disposizione alla meraviglia, il desiderio di salvezza che spinge ad avere fede in qualcosa di più grande, che sia una religione oppure una certezza di altro genere che liberi dall’angoscia per la finitezza del reale, compresa la propria, e corrisponda all’aspirazione per l’immortalità. Ma debbono essere certezze solide, non quelle vane delle ideologie vecchie e nuove né tantomeno quella inconsistente di coloro che perseguono l’autodeificazione, ovvero la “religione di sé medesimi”.

La scena entro cui stiamo vivendo non è esattamente ciò che desideravano i sostenitori delle diverse liberazioni del passato, e non può neppure essere ridotta alla contrapposizione tra le due ideologie woke e populista (non solo di destra) così come risulterebbe dalla competizione elettorale americana. C’è una maggioranza più autentica, meno interessata alle questioni definitorie e più attenta alle cose concrete: gli affetti, il lavoro, la vita con gli altri. Una maggioranza certamente confusa, che avverte il peso dell’incertezza e desidera protezione e serenità per potersi dedicare al meglio al proprio percorso esistenziale. Che avverte il dovere di proteggere i propri figli e di dare loro una buona educazione. Ma c’è un vuoto, quello della figura paterna, che rende difficile questo compito. Delsol ci ricorda che da trent’anni vengono indicate molte culture che fanno a meno del padre, ma i Naxi cinesi, alcune regioni dell’Africa dove i padri sono sconosciuti e le culture poligame musulmane, tutte queste popolazioni, senza alcuna eccezione, si trovano in territori con governi autoritari, e questo non può non far pensare. Perché oltre alla tenerezza e all’accudimento il bambino ha bisogno di apprendere i limiti della propria libertà e a comportarsi responsabilmente. Ed è molto difficile per una madre single dare le due cose contemporaneamente: sono esigenze opposte che richiedono la presenza di due persone. La filosofa lo afferma in modo lapidario: “se non ci sono padri in casa, dovremo mettere la polizia nelle scuole”.

I genitori responsabili della crescita dei figli non devono soltanto prendere a carico in modo paritario i compiti che ne derivano, ma sono chiamati ad un lavoro su di sé particolarmente impegnativo: dimenticare in parte se stessi traendo dalla virtù della dedizione un’attrazione capace di donare gioia e pienezza alla propria vita individuale e di coppia. Non si scorge qui, nella vicenda di una famiglia che quotidianamente si prende cura della formazione umana dei propri figli, la radice vitale della democrazia?  

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8 commenti

  1. Author

    Articolo molto bello e pieno di stimoli e di spunti che condivido. Avrei, però, una nota critica. Non concordo sull’uomo “individualista per natura”; individualismo che, poi, si estenderebbe anche alle donne. Meglio, se questa affermazione si riferisce alla società borghese, allora direi che va bene. In effetti, grossomodo, sino al XX sec., salvo eccezioni, mi pare che le donne abbiano assunto, per vari motivi, ruoli oggettivamente meno individualisti: di norma il borghese era un maschio. Ma questo, al pari delle donne, si potrebbe dire anche della maggior parte degli uomini appartenenti a classi sociali diverse dalla borghesia: contadini, operai ecc.. Tenderei pertanto a condividere la riflessione di Pasolini: l’individualismo, l’ideologia borghese per definizione, è divenuto, in Occidente, ideologia di massa nella seconda metà del ‘900 complice la televisione e la società dei consumi. Questi due fattori hanno fatto ciò che neppure la peggiore propaganda dei sistemi totalitari è riuscita a fare: sono riusciti a penetrare l’anima delle persone devastandola e omologandola / globalizzandola ante litteram. A buon diritto, per come la vedo io, Pasolini parla di “genocidio culturale”. Grazie Dario.

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  2. Hai ragione Bruno: quando scriveva dei maschi dediti a se stessi probabilmente Delsol intendeva riferirsi all’era moderna e non risalire oltre.

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  3. La donna sicuramente ha raggiunto più possibilità decisionali e maggiori autonomie di un tempo, questo ha portato ad alimentarne la spinta a realizzare desideri. Può più di prima scegliere una professione, cercare di realizzarsi anche in ambito lavorativo. Desidera anche avere dei figli. Anche gli uomini, del resto. Nel farlo, avendo anche figli, devono entrambi riuscire a viversi in più ruoli nell’arco della stessa giornata. Gli uomini non è detto che non debbano fare altrettanto. Nell’educazione dei figli, nell’organizzazione giornaliera non trovano supporti parentali, se non agenzie di socializzazione a pagamento.
    In più, ad oggi, nel post pandemia, non è facilmente praticabile che si possa riscegliere di lavorare uno solo dei due. Anche cogliendo che la corsa alla realizzazione personale forse vale meno della libertà di godere di qualche ora di condivisione tra cari. Pensando ai costi dello stare al mondo, si azzerano le fantasticherie. Sono i costi legati al vivere secondo le regole della civile convivenza, del pagare le utenze, le imposte, le assicurazioni, i libri di scuola, le magliette di calcetto. I costi del non trovarsi all’improvviso senza un tetto.
    Nascono nuove povertà che aumentano perché non sono solo frutto di mancanza di risorse economiche per far fronte agli imprevisti (l’auto che si rompe, il gas che aumenta) ma anche dovute alla mancanza di reti amicali e di supporto parentale nel fronteggiare il quotidiano e i suoi ritmi frenetici. Le coppie affrontano le giornate senza appoggi.
    O si hanno buone risorse personali o si rischia di imbrigliarsi l’esistenza. Il rischio dell’aver inseguito una personale individualità, ci ha discostato dal pensarci e viverci parte di una collettività, o meglio di una comunità. Ho l’impressione che ci siamo infognati nelle conseguenze di queste evoluzioni sociali.
    Esistono sì famiglie di vari “colori”, ma non più le famiglie allargate di un tempo. Esistono diverse tipologie di famiglie, Fruggeri direbbe “diverse normalità”, volendo non dare un’accezione negativa a questi cambiamenti.
    La spinta a seguire aspirazioni personali puo’ comportare anche la scelta, comunque sofferta, di percorrere strade differenti. Le coppie si separano e più di un tempo non solo perché si uniscono senza pensarci, ma anche perché possono scegliere di farlo, un tempo era impensabile. Ci si univa spesso e volentieri perché deciso da altri e in taluni casi si rimaneva insieme anche perché si doveva, non c’erano vie di uscita. Ed è bene che oggi ci possano essere. Non sono rose e fiori, per i figli, le “famiglie” che rimangono unite per forza, quelle in cui i conflitti non si vivono perché meglio tacere e si respira aria tesa dalla mattina alla sera o dove sono troppo accesi e violenti per sopravviverci.
    Forse occorrerebbe un’educazione al come vivere adeguatamente le divergenze, le opinioni differenti e i mutamenti continui, anche quelli calati dall’alto. Per avere più strumenti per stare insieme quando sono tante le strade percorribili e svariati i sogni e i desideri, ma non perché “bisogna”, ma perché lo si sceglie e ci si risceglie ogni giorno.
    I figli non crescono meno bene se figli di genitori separati, non è detto. Crescono meno bene se i genitori separati, o non, smettono di fare i genitori, di viversi come coppia genitoriale. Che rimangano o meno coppia coniugale è altra questione, ma di essere genitori non smetteranno mai e sarebbe auspicabile riuscissero a comunicare tra loro rispetto a questo, nel tempo.
    Facendolo, potrebbero anche trasmettere il messaggio che pur nelle divergenze, ci si possa ritrovare a camminare insieme e nella stessa direzione, con progetti di vita condivisi.

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    1. Grazie Silvia, ci hai messi nella realtà concreta, dove il modo di vita individualistico ci infogna in situazioni spiacevoli: coppie che stanno insieme per forza, genitori separati che non sanno essere tali nei confronti dei figli. Condivido pienamente la necessità di educarsi ai conflitti, a manifestare i propri sentimenti, soprattutto a saper trovare un punto di condivisione in modo che, anche se separati, riescano a muoversi, come genitori, nella stessa direzione. Non è questa la strada della scoperta consapevole delle virtù?

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  4. Author

    Grazie Silvia, condivido quasi tutto, ma soprattutto un punto, che è poi quello che stiamo sviluppando in pensarbene. E’ impossibile e, per come la vedo io, neppure desiderabile, riesumare le vecchie forme di comunità. Però bisogna essere consapevoli che la democrazia senza la dimensione comunitaria non sopravvive. Quindi serve una nuova sintesi tra dimensione individuale e dimensione collettiva. Non è solo una teoria, lo dimostra tutto il nostro lavoro (le interviste, ma pure il percorso di ricerca teorica), le evidenze che abbiamo raccolto ecc. ecc.. Il rischio è radicalizzazione in atto, il tribalismo, il venir meno di luoghi terzi dove è possibile il dialogo (e qui mi riferisco anche a Pensarbene che questo vuole essere). Il rischio è che si crei un’opposizione tra democratici libertari e conservatori comunitari vecchia maniera. Sarebbe la fine della democrazia, meglio di quel poco di democrazia che ci resta viste le enormi disuguaglianze, il venir meno di standard condivisi su temi cruciali quali la legalità, il lavoro, l’ambiente, l’immigrazione, l’identità, il pagamento delle imposte, lo stato sociale ecc. ecc.. Credo che noi stiamo facendo un buon lavoro. Se qualcuno ha di meglio lo dica per favore. Andiamo però, per come la vedo io, contro corrente, questo dobbiamo saperlo.

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  5. Condivido l’analisi di Silvia riguardo alla famiglia. Aggiungo che, per mancanza di tolleranza ciò che le coppie separate, con o senza figli, un tempo erano considerate anormali, oggi è la normalità dilagante. Le coppie con figli che si separano, senza farsene una ragione, egoisticamente ignorano che i figli, a qualsiasi età, necessitano di un punto di riferimento che purtroppo oggi, è sostituito dai riferimenti di amicizie, talvolta discutibili, e travisato dalle “mode” di socializzazione che i media propongono.
    In un rapporto di coppia, il tacere
    e la sopportazione da parte di una o dell’altro, può sfociare in situazioni a volte drammatiche. La tolleranza e la sopportazione devono essere intese come lo strumento finalizzato a trovare sempre un compromesso che non leda la libertà reciproca: questo può costituire un insegnamento ai figli che si può rimanere uniti in famiglia anche con la diversità di opinione e di comportamento che non offendano la sensibilità reciproca ma che possano garantire una convivenza serena in famiglia.

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    1. Author

      Anche questo intervento di Lucia, che ringrazio, esprime bene il bisogno di trovare una sintesi nuova tra libertà individuali e la dimensione comunitaria.

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  6. Hai ragione Bruno: nel sostenere l’ampliamento del modo di vita individualistico dal maschio alla femmina, la Delsol non si riferiva alle ere precedenti (se così fosse, si potrebbe intendere che per lei il maschio è individualista per natura), ma si limita alla l’era moderna. Questo punto è stato invece trattato da Luigi Zoja ne “Il gesto di Ettore”, dove afferma che nella preistoria è avvenuto il passaggio da maschio, che cercava la donna solo per il piacere sessuale, a padre che ritornava a casa e si prendeva carico delle esigenze di un nucleo familiare stabile. Secondo questa visione, il fatto che la recente rivoluzione dei costumi abbia portato non alla comparsa del “mammo” bensì alla rarefazione del padre, è da interpretare piuttosto come una regressione al maschio biologico, segnalata dalla diffusione di “orde maschili” specie di adolescenti, dall’aggressività e dalla competizione. Mi pare che questa lettura sia molto legata al mito di Peter Pan: nel lavoro ricerco il successo economico mentre nella vita relazionale vivo come un eterno adolescente senza impegni stabili né responsabilità

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